fbpx Skip to main content

Scrive Dylan Thomas alla fine di uno dei suoi più noti racconti giovanili, intitolato Nella direzione del principio: “Di chi era l’immagine del vento, l’impronta sullo scoglio, l’eco che chiedeva una risposta? […] Si muoveva nel campo salato, ingoiante la storia e le rocce, le oscure anatomie, lo stesso mare ancorato.”

L’Isola d’Elba sia per i suoi paesaggi naturali sia per la sua storia, dagli Etruschi fino a Napoleone e oltre, ha sempre esercitato un grande fascino su poeti e scrittori di tutto il mondo. E spesso l’impronta più importante l’hanno lasciata soggiorni brevi: come quello, durato nove mesi, di Napoleone Bonaparte, o quello, durato persino meno, un mese, del poeta e scrittore gallese Dylan Thomas, che la scelse nel luglio 1947 come suo approdo spirituale e luogo di ispirazione arrivando da Firenze.

Dylan Thomas sullIsola dElba

Giunto sull’isola sulla scia di Morte e Ingressi il libro che, a sei anni dalla pubblicazione di Ritratto dell’artista da cucciolo, nel 1946 rappresentò la sua definitiva consacrazione, Thomas ritrovò sul suolo elbano le suggestioni assolutamente concrete e insieme favolose della propria piccola patria, Swansea: con gli interni gremiti, le stradine tortuose, le colline di orti e di fattorie, le miniere, il vento amico e nemico, gli aromi selvatici della campagna, i sapori sinceri del mare. Il poeta gallese si sentì a casa nelle osterie di Rio Marina, a sorseggiare dell’Aleatico Passito, vino antico e pregiato adatto per la meditazione, e si scoprì incantato dallo ​stoccafisso alla riese, pietanza povera e sublime di origine ibero-moresca dove il merluzzo è accompagnato da acciughe sotto sale, cipolla, pomodori, peperoni verdi, olive nere, pinoli e capperi; un piatto che, insieme al gurguglione – stufato di verdure, peperoni e melanzane – è stato per secoli il convivio di minatori e contadini che si recavano al lavoro. E di sicuro, vista la sua nota predilezione per il grado alcolico, avrà anche deliziato il palato con la schiaccia briaca, il dolce elbano per eccellenza composto da uvetta, pinoli, noci, mandorle, nocciole, olio, vino (Aleatico) e alchermes in generosa quantità.

In più, la poesia di Thomas è una esplosione che si nutre di miti e tale fame all’Elba si poteva di sicuro appagare. Molti dei luoghi più importanti dell’isola sono infatti collegati a leggende passate di bocca in bocca: come la “Spiaggia dell’Innamorata” che respira ancora del sentimento di Lorenzo e Maria, due giovani dell’Elba il cui amore era contrastato dalle rispettive famiglie, o la “Seduta della Madonnina” presso il santuario della Madonna del Monte, un piccolo avvallamento circolare dove, secondo la vulgata elbana, la Madonna stanca si sarebbe seduta. Ma in questo coacervo che negli anni sull’isola ha mescolato folclore locale, vocazione panteista e leggenda in un vortice inebriante di immagini, il posto d’onore lo merita sicuramente la leggenda degli Argonauti.

La leggenda degli Argonauti e la città sommersa

Per effetto della lavorazione del granito, che risale ai tempi dei Romani come testimoniano le numerose opere disseminate nelle più importanti città italiane e straniere, e della estrazione del ferro e di altri minerali risalente addirittura all’epoca etrusca, all’Elba ancor oggi strade, spiagge e persino le facciate delle case luccicano infatti non solo del riflesso del sole, ma anche di quello di Argo.

È stato a partire dagli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso che si iniziò a parlare della presenza di una città sommersa a largo di Capo Bianco e anche di un mitico Porto Argo di greca memoria proprio davanti alla Spiaggia delle Ghiaie, una tra le più belle dell’isola con i suoi splendidi fondali e le meravigliose acque cristalline. Secondo il racconto popolare i ciottoli bianchissimi e levigati dal mare che caratterizzano la spiaggia, a causa del sudore degli argonauti vennero chiazzati di nero, particolarità che continuano ad avere ancora oggi. Al netto del vox populi, in effetti le ricerche effettuate hanno svelato la presenza sotto il velo dell’acqua di un grande complesso, che pare essere in parte naturale e in parte opera umana, composto da imponenti muraglioni talora abbinati parallelamente a non molti metri di distanza l’uno dall’altro. Che sia davvero tutto uno scherzo della natura o è davvero Argo?

Nonostante ancora oggi la querelle sulla origine della “città sommersa” sia aperta, ci piace pensare che pur lontano dalla sua tomba a Swansea, solcando il mare, sia stato lo spirito indomito di Dylan Thomas a creare questo miracolo subacqueo: come la poesia di Thomas, una creatura che a momenti appare come un vero pianeta a sé stante, un manufatto umano e naturale insieme a cui non è possibile porre argine, applicare un vaglio di codici, imporre una disciplina. Segni che ci rivelano la presenza di Argo all’Isola d’Elba tra Genesi e fiaba, Apocalisse e filastrocca, in una visione che riacciuffa la realtà dai capelli per dargli nuova vita altrove. Luogo immaginato dove paure, amori, esultanza, nostalgia, gioia animale, ignoranza e misteri, insomma tutto ciò che noi sappiamo e non sappiamo, trovano il loro posto nel mondo.

Se non ci credete, se non siete convinti che seguendo Dylan Thomas si possa scoprire Argo dalla spiaggia dell’Elba, il racconto del gallese di Swansea con cui abbiamo iniziato si chiude così: “Una voce quella sera traversò la luce e le onde, una forma assunse mutevoli umori […] una virulenza strisciò attraverso la spuma e dai quattro angoli della mappa un cherubino nella forma di un’isola soffiò le nuvole verso il mare”.

Credit photo: Wikipedia, Spiaggia delle Ghiaie, Isola d’Elba