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Mario Soldati amava le fughe a effetto. Nato a Torino il 9 novembre 1906 si è trasferito prima a Napoli e poi a Roma, poi di ritorno al Lago D’Orta che, nell’ultima parte della vita dello scrittore, ha poi ha ceduto il testimone a Milano e Tellaro, sull’estrema costa ligure di Levante. In mezzo l’America (“America primo amore”, il libro che lo ha rivelato, è del 1935), luogo di ennesime andate e ritorni sempre sentimentali (entrambe le madri dei suoi sei figli avevano cittadinanza statunitense) frequentata sulla scia di alterni sentimenti e poi, nella fantasia, ritrovata in uno dei pochi luoghi italiani che la richiamano, date le debite proporzioni, per vastità: la Valle del Po. Un luogo che Soldati forse aveva dentro, da qualche parte, sin da giovane studente quando si laureò con una tesi su Boccaccio Boccaccino, pittore rinascimentale nato a Ferrara ma di scuola cremonese.

Uno scrittore poliedrico

Scrittore e autore davvero poliedrico, come ne sono esistiti pochi nel nostro paese, Soldati nella sua vita ha intrecciato senza soluzione di continuità scrittura romanzesca, cronachistica, saggistica, testi per il teatro, il cinema e la televisione; egli stesso ha diretto poi in prima persona diversi film per il grande schermo – tra cui spiccano “Dora Nelson” (1939), “Piccolo mondo antico” (1941), “La provinciale” (1952), “La donna del fiume” (1954) – nonché il primo lungometraggio trasmesso dalla neonata RAI il 3 gennaio 1954, “Le miserie del signor Travet”. Per questo, Soldati può essere considerato forse il primo scrittore “multimediale” dal secondo dopoguerra in avanti, “il primo Media-Man” come lo descrisse il critico televisivo Aldo Grasso in un articolo sul Corriere della Sera del settembre 2016.

I documentari e gli scritti di Mario Soldati

È proprio grazie alla televisione che si rinfocola l’affetto di Soldati per la Valle del Po. Tra le varie primogeniture che è possibile attribuirgli c’è infatti anche quella del reportage enogastronomico, genere che ha fatto esordire in RAI nel 1957 con “Alla Ricerca dei Cibi Genuini – Viaggio nella Valle del Po” uno dei programmi più ricordati e fecondi della televisione italiana, rievocato ancora oggi – negli stilemi formali, nel linguaggio e nello stile di racconto – da moltissimi epigoni, non sempre all’altezza dell’originale. Un amore, quello tra Soldati e la Valle del Po, che prosegue almeno sino al 1968, anno in cui scrive la raccolta “I racconti del maresciallo”, ambientato proprio sulle stesse strade, di asfalto e di acqua, che in quegli anni percorreva spesso attraverso le sue parole. Luoghi, persone, sapori e profumi che Soldati ha raccontato con uno stile personale e del tutto distintivo: “Soldati è l’unico scrittore del Novecento italiano che abbia amato esprimere la gioia di vivere” diceva Natalia Ginzburg; “una leggerezza che significa fraternità” nelle parole di Pier Paolo Pasolini, “qualcosa che assomiglia alla felicità” ha chiosato Leonardo Sciascia.

Un dispensatore di allegria mai banale che ha trovato il modo di rendere questa vocazione da gourmet letterario un linguaggio e un modo di vivere: una attitudine all’interno della quale il viaggio, gli incontri, la cucina sono intesi sempre come parte fondamentale e mai solo folkloristica della cultura italiana. Soldati non era fatuo. Era alacre e inquieto, intendeva e descriveva la realtà come tensione; un atteggiamento vigoroso che non accettava mai il disarmo delle emozioni, delle esperienze e delle sensazioni.

Un filo rosso che gli ha permesso di unire, proprio come il corso del Po, culture apparentemente lontane, come quelle che partono dal Monviso per arrivare sino a Comacchio. Proprio lì, tra la particolare umidità, le nebbie, l’aria e il terreno salmastro, tenendo in mano un bicchiere di “Vino delle Sabbie” e tra i denti un boccone di anguilla in umido, ha fatto camminare Sophia Loren, che è diventata per lui la “Donna del Fiume”. Quel fiume che, come lui, non si tira mai indietro, non molla, accoglie. Che nel ricordo si associa non tanto e solo al corso delle acque, ma ai popoli che ne abitano le rive.

Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco per la sua valenza ambientale, il Delta del Po ha dunque accudito Soldati sin dal primo incontro, amplificando la sua natura di narratore confessore e di “amatore inesperto” del vino, uno dei vocaboli più belli da associare all’arte della degustazione, amato anche dal grande Veronelli. Eterno dilettante, eterno bambino, eterno nella sua arte di indagatore dei costumi e delle tentazioni, Soldati in tutte le sue espressioni artistiche ha saputo rendere limpido ciò che era torbido: se forse lo ha imparato dal Po, di sicuro ce lo ha restituito come un grande regalo proprio di un domatore di confidenze, laico d’animo quanto religioso nell’approccio ai segreti, sedotto da tutto e capace di sedurre chiunque.

Torbido solo all’apparenza, come il Po e come il vino, Mario Soldati ha portato nelle case degli italiani racconti di genti e paesi mossi da una agitazione placata, ma mai negata. Tra sincerità e provocazione al centro ha posto sempre l’essere umano, che con la sua presenza e parola fornisce colore, sapidità e senso a industrie, corsi d’acqua, osterie, sagre, vitigni. Soldati, ha detto qualcuno, è un Simenon nato in Italia che al giallo ha sostituito la tavola. Comune è la sparizione. Il fantasma di qualcosa. Che lo guida e ci guida in un miracolo: raccontare qualcosa che stupisce e sorprende anche nell’ambiente più quotidiano e ordinario. Sta proprio in questo, a ben vedere, la sua felicità narrativa: acutezza pungente e senso di ambiguità affinata attraverso il brio dei sentimenti. Che appartengono non solo a Soldati. Ma, grazie a lui, oggi, anche a tutti noi.