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Se dovessi cercare una parola che sostituisce “musica” potrei pensare soltanto a Venezia – disse Friedrich Nietzsche della città dove visse, a lungo, tra il 1880 e 1887.

Casa di Nietzsche a Venezia

La casa che il filosofo tedesco abitò a Venezia si trova a Palazzo Berlendis, nel Sestiere di Cannaregio, alle Fondamente Nove: si tratta di un bellissimo edificio dallo stile neoclassico con l’affaccio panoramico sulla Laguna e il campanile di San Marco.

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Palazzo Berlendis

Commissionata dal mercante veneziano Stefano Protasio nel 1600 e realizzata dall’architetto Andrea Tirali, la struttura è divisa in due ali: il Palazzo Merati nella parte settentrionale e, in quella meridionale, il Palazzo Berlendis. Proprio in quest’ultimo, al piano nobile, si trova la casa dove visse il sommo filosofo, che occupò una delle quattro le stanze che compongono l’appartamento, di cui una vanta un’alcova con pannelli in legno risalente al XVIII secolo con opere del pittore Francesco Fontebasso. In quanto a fascino e pregio non sono da meno i pavimenti in marmo, gli alti soffitti, le decorazioni in stucco, i dipinti a muro e gli affreschi; persino i bagni hanno un aspetto aristocratico, in quanto riportano mosaici originali di Napoleone Martinuzzi, grande scultore del vetro, a cui vanno i meriti anche della porta della terrazza decorata con figure mitologiche.

La camera che Nietzsche affittò misura 6,20 x 6,20 metri, con un lato che ha tre grandi finestre che si aprono su un balcone affacciato sul Rio dei Mendicanti; di quell’alloggio, il filosofo amò i soffitti alti, «buoni per il sonno», e il silenzio «come alla fine del mondo». A Venezia, Nietzsche iniziò la stesura di una serie di appunti che intitolerà provvisoriamente “L’ombra di Venezia”, un embrione di quello che sarà poi il testo di “Aurora”. E’ questo un periodo molto particolare per il filosofo che, reduce dalla decisione di abbandonare l’insegnamento a Basilea dopo otto anni di docenza in Filologia classica, tormentato da emicrania, vomito e indebolimento della vista, inizia un vagabondaggio erratico alla ricerca del clima ideale, rincorrendo la salute e il benessere lungo un viaggio italiano che si concluderà nel 1888 con la crisi fatale di Piazza Carignano, a Torino.

Sono i tempi che porteranno alla gestazione di Ecce Homo, pubblicato proprio nel 1888, dove Nietzsche collega la liberazione dall’idealismo wagneriano al concetto di spirito libero, errante, in cammino, in viaggio, sul modello di Goethe e di Montaigne. “L’idealismo non mi appartiene, dove voi vedete cose ideali, – io vedo cose umane ahi, troppo umane”: sono proprio queste le pagine, così diverse da quelle vergate in precedenza, i momenti nei quali il filologo artista si trasforma nel “filosofo con il martello”, e in cui un tipo di concezione del mondo si avvia verso la fine mentre nella sua mente ne nasce una nuova, non sempre lucida ma, di sicuro, estremamente potente.

Il Nietzsche che conosciamo nasce dunque realmente a Venezia, dove avviene la sua personale conversione: Venezia che il filosofo definisce “la città dalle cento profonde solitudini”, Venezia dove, come era successo a suo padre e a suo fratello Joseph, Nietzsche inizia a perdere progressivamente la memoria.

Quel Nietzsche che in fondo scriveva per i poeti e gli artisti, non per i filosofi che spesso disprezzava, è nato, ma non morto, a Venezia, che lasciò a malincuore solo perché il suo clima umido lagunare non era consigliato per le sue emicranie.

L’episodio della canzone in veneziano

È forse per questo che, in piena notte nel treno che attraversa il Gottardo per trasportarlo da Torino verso l’internamento ultimo in una clinica psichiatrica di Basilea, Franz Overbeck l’amico fidato che lo riportò a casa lo vide ridestarsi dal torpore dei sonniferi e cantare, in veneziano, “La canzone del gondoliere”.

Come scrisse Nietzsche stesso in una delle sue ultime lettere a Peter Gast: “L’ultima notte mi condusse ancora, mentre me ne stavo fermo sul ponte di Rialto, una musica che mi toccò fino alle lacrime, un vecchio motivo così incredibilmente antico che sembrava non esservi mai stato un adagio prima di quello”.

Foto in evidenza di Luca Bravo