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Si dice che Stendhal nei momenti di particolare emozione, o di improvviso impeto letterario, prendesse appunti persino sulle bretelle. Se chiedete a un milanese (ovviamente un francese potrebbe dare una versione diversa), vi direbbe che ha iniziato a farlo durante il suo lungo soggiorno a Palazzo Bovara, situato in Corso Venezia al 51. Al netto delle leggende, e di piccoli sciovinismi, è certo che Stendhal (al secolo Marie-Henri Beyle 1783-1842), ha amato così tanto Milano da aver voluto sul suo epitaffio, a Montmartre, risultare “milanese”, prima che francese.

I luoghi milanesi di Stendhal

Stendhal giunse per la prima volta nella città di Milano al seguito dell’esercito napoleonico, intorno al 10 giugno del 1800, trovando prima alloggio nel palazzo D’Adda (oggi via Manzoni) all’epoca non ancora ultimato del tutto, poi appunto in palazzo Bovara, dove sulla facciata è affissa una targa commemorativa. Il primo soggiorno fu breve, tornò però una seconda volta a Milano nel 1811 alla fine dell’estate e poi nel 1814, ancora nel mese di giugno e, dopo alcuni spostamenti anche in terra di Francia, vi si stabilì nel 1816, rimanendovi per ben cinque anni.

Questa insistenza appare ancora più strana se si pensa che in realtà i francesi non erano più ben visti a Milano in quel periodo: nell’aprile del 1814 Giuseppe Prina, l’ex ministro del governo di Eugenio di Beauharnais, era stato linciato da una folla sobillata dall’aristocrazia milanese, desiderosa di ingraziarsi i nuovi padroni asburgici e di farsi diminuire le tasse. A conferma di tale clima ostile, quando Stendhal tornò di nuovo a Milano il 10 gennaio del 1828, e presentò richiesta alla polizia austriaca di un permesso di soggiorno di quindici giorni, il permesso gli venne perentoriamente negato, con l’ingiunzione di lasciare immediatamente la città quale persona indesiderata. Metterà da lì in avanti piede a Milano solo saltuariamente, per pochi giorni e semi clandestinamente.

In alcune sue lettere ritrovate postume si riferisce a Milano come la sua “beauté parfaite” (bellezza perfetta) e alla cotoletta impanata come il suo piatto preferito, spesso ricordato e citato quando, tornato in patria, il suo pensiero andava alla cara città lombarda.

Il suo amore per Milano arrivò a tal punto che, rientrato in città dopo un periodo d’assenza, si descrisse addirittura commosso dall’odore dei Navigli, che prese a chiamare “canali boulevard” per la capacità di evocargli sensazioni di accoglienza e pace.

L’amore milanese di Stendhal

Perché questa ossessione, questa “sindrome” verrebbe da dire? Certo, Stendhal trascorse a Milano una breve ma intensa epopea napoleonica; Milano fu inoltre certamente di ispirazione per “La Certosa di Parma” che ha per protagonista il giovane nobiluomo milanese Fabrizio del Dongo, figlio di una gentildonna milanese e di un soldato napoleonico; e il profumo dei Navigli, forse più di quello della cotoletta, non poteva che incantare, soprattutto nell’Ottocento… Ma la verità è che nella città meneghina Stendhal trovò l’amore della sua vita che gli fece trascorrere, proprio a Milano, i momenti più romantici e spensierati della sua esistenza.

Era l’8 settembre del 1811 quando, a undici anni dalla prima visita, ritornò a Milano e suonò alla porta di Angela Pietragrua, la donna da lui sempre desiderata. Essendo, la loro, una relazione clandestina, tra i due c’era un preciso sistema di segni (finestra chiusa, semichiusa, con un panno, con due tovaglioli…) che permetteva a Stendhal di capire come dove e quando avrebbe potuto incontrare l’amata.

Lo immaginiamo dunque davanti al grande portone titubante, emozionato, col respiro corto come qualunque innamorato nella sua situazione. Lo vediamo attraversare il corridoio di mattoni nudi, uscire sul magnifico cortile interno e salire ansioso sulla scala che permetteva di salire per godere appieno di una vista stupenda sulla città. Tutto per giungere sino a lei, Angela, che si legge nel “Diario” lo ricambierà con “ore deliziose, dolce tenerezza, forse le più deliziose di questo viaggio.”

Sebbene la loro storia d’amore, lunga quindici anni, finì proprio per volontà di lei, Stendhal non dimenticherà mai il suo primo incontro con quella che chiamava la sua “Lady Simonetta”. Di sicuro un momento unico e appassionante, capace di indurgli un livello di emozione dove si incontrarono “le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati”. Tanto che, guarda caso, Stendhal, certificano le cronache dell’epoca, volle annotarlo in maniera indelebile sulle bretelle che indossava quel giorno.

Nella foto: Palazzo Bovara a Milano