«Qui è il giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare, sospesa sulle foglie degli aranci e dei cedri sontuosi negli orti pensili dei conventi». Così Salvatore Quasimodo descriveva Amalfi nel suo “Elogio”.
Da repubblica marinara a patrimonio dell’umanità
Dal 1997 alla Costiera amalfitana, di cui Amalfi è principale centro geografico e storico, è stato riconosciuto il titolo di Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Il toponimo Amalfi è di sicura origine romana (il suo stemma reca la scritta Descendit ex patribus romanorum) ma con due ipotesi: derivazione da Melfi, città lucana, i cui transfughi giunsero sulla costiera fondando la città, o derivazione dalla gens romana Amarfia (I secolo d.C.).
La Repubblica di Amalfi, poi Ducato di Amalfi, fu un antico stato governato, tra il IX e il XII secolo, da una serie di duchi, a volte chiamati dogi in analogia con la rivale Repubblica di Venezia. Insieme a Pisa, Genova e Venezia, infatti Amalfi è una delle repubbliche marinare più note, è la più antica ed è stata, per due secoli, la più potente fra esse.
Il declino e le rovine leggendarie di Amalfi
Amalfi raggiunse il proprio massimo splendore nell’XI secolo, dopodiché iniziò una rapida, anche drammatica, decadenza: nel 1131 infatti fu conquistata dai Normanni di Ruggiero II d’Altavilla re di Sicilia, nel 1135 e 1137 fu saccheggiata dai pisani e nel 1343 una tempesta, con conseguente maremoto, distrusse gran parte della città. Delle conseguenze di tale distruzione i pescatori raccontano, a cavallo tra mito e leggenda, che ancora oggi le loro reti gettate al largo della città si incagliano nei resti degli antichi palazzi e di una fontana che ancora emetterebbe acqua dolce in mare aperto.
Amalfi, luogo di letterati
Fu probabilmente anche questa cuginanza forte con miti e leggende a far incontrare Salvatore Quasimodo e Amalfi: Quasimodo giunse ad Amalfi il 20 gennaio 1966 all’Hotel Cappuccini e alla signora Anna Aielli che lo accolse il poeta, di getto, rispose: «Sono a casa mia, signora. Questo è il Sud, il mio Sud. Qui respiro aria e profumi della mia Sicilia». Amalfi sarebbe diventata per lui come Tindari: il suo paesaggio, le isole del dio, il vento della memoria ricreavano per lui un paesaggio dell’anima. Questa identificazione tra le due terre il poeta la ritrovò in particolare nella strada a strapiombi verso Ravello dove i segni moreschi nei palazzi gentilizi erano a richiamo della sua Sicilia araba; quella Ravello che, insieme ad Amalfi e Positano, rappresenta il trittico geografico, naturalistico, architettonico e letterario che ha alimentato nei secoli la bellezza senza tempo della Costiera Amalfitana. «In nessun altro luogo l’incrocio fra terra e acqua avviene con una reciproca metamorfosi», disse ancora Quasimodo, a certificazione di tale incredibile comunione nella bellezza indelebile. A lui fece eco John Steinbeck, famoso scrittore statunitense, che descrisse Positano come “posto di sogno che diventa animatamente vivo quando te ne sei andato”. Passando a Ravello, nel XIV secolo Giovanni Boccaccio la decantò nel Decamerone, e fu a Ravello che Richard Wagner compose il II atto dell’opera Parsifal nel 1880 e dove D.H. Lawrence scrisse, nel 1927, “L’amante di Lady Chatterley”. Sempre nei primi anni del XX secolo, Villa Cimbrone acquisì fama come ritrovo di Virginia Woolf e di John Maynard Keynes, sino al più recente amore per queste terre di Gore Vidal, che visse e scrisse a Ravello per più di 30 anni, divenendone infine cittadino onorario.
La morte di Quasimodo, ad Amalfi
Tornando a Quasimodo, spinta dalla eccelsa sintonia che sentiva con il territorio della Costiera la sua produzione poetica durante la sua permanenza ad Amalfi è stata molto ricca ed estremamente pregevole: “Oboe sommerso”, “Giorno dopo giorno”, “La terra impareggiabile”, sono infatti esempi di limpida poesia civile che lo porteranno al riconoscimento del Premio Nobel per la Letteratura nel 1959.
Quasimodo ritornò più volte ad Amalfi, ed era all’Hotel Cappuccini anche il 14 giugno del 1968, quando fu colto da ictus. Forse era destino per il poeta siciliano morire ad Amalfi, perché ad Amalfi, egli disse, «è facile dimenticare la morte». Nato nell’isola del Ciclope, Quasimodo si spegneva nel mare di Ulisse, cullato dal richiamo di quelle muse che, probabilmente, più lo hanno accompagnato nella sua vita: le amate sirene.
Foto di Sterling Lanier
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