Dall’inquadratura fissa di una macchina da presa, in lontananza, scorgiamo la sagoma di una città indefinita, anonima e apparentemente uguale a tutte le altre. Ne rimaniamo indifferenti fino a quando, d’improvviso, l’immagine si anima rivelandone la vera essenza e lasciandoci stupiti. Ci troviamo nella valle del Tevere, immersi nella regione della Tuscia, l’antica Etruria.
Pasolini e la Tuscia viterbese
Ora la città dinanzi ai nostri occhi è tutt’altro che anonima; sorge alla sommità di un imponente rupe tufacea, austera, domina il territorio circostante come la più maestosa delle regine. Siamo ai piedi della città di Orte, guidati alla sua scoperta dalla sapiente cinepresa di Pier Paolo Pasolini; Orte per lui è la città dalla forma perfetta: ne ammira l’armonia, la sua pianta ellittica, le sue architetture calcolate e il suo lineare profilo e per queste ragioni la scelse come protagonista del suo noto documentario “Pasolini e la forma della città”, trasmesso dalla Rai nel 1974.
«Io ho scelto una città, la città di Orte […], ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città. […] ho scelto un’inquadratura che facesse vedere la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta».
Luogo antico e vasto, la Tuscia viterbese è culla di civiltà e tradizioni dove storia e natura si sono modellate reciprocamente diventando un unicum; un territorio sconosciuto e per questo spesso poco valorizzato di cui Pasolini ci svela i segreti più profondi, invitandoci a scoprirne l’inattesa bellezza.
La città dalla forma perfetta di Pasolini è un intricato labirinto di vicoli nei quali riecheggia una storia millenaria. I suoi edifici, costruiti tipicamente in pietra, nascondono nelle loro architetture i segni di un passato lontano, scritto e vissuto delle numerose civiltà che vi s’insediarono lasciando dietro di sé testimonianze indelebili, come inchiostro sotto la pelle.
Così il regista ci prende per mano e ci porta in un viaggio alla scoperta di un passato costruito pietra dopo pietra da Etruschi, Romani, e ancora Goti, Bizantini e Longobardi, fusi quasi per paradosso in modo coerente e lineare.
Dall’acquedotto romano, passando per Duomo barocco della Santissima Annunziata, per le piazze medievali, fino ad arrivare ai misteriosi sotterranei che si snodano sotto di essa Orte mantiene, pur nella complessità, una propria unità stilistica tale da non disturbare l’occhio di chi la scruta. Una città dall’animo poliedrico, viva nel presente, dinamica e in continua evoluzione che, non dimenticandosi mai del suo secolare portato di storia, mantiene vive le sue solide tradizioni. Se vi dovesse capitare, persi nei vicoli della città o tra botteghe e osterie storiche, di udire della musica non esitate a seguirla; è possibile che essa vi condurrà nel centro pulsante della città, in piazza della Libertà, gremita di gente, ad assistere a una delle rievocazioni storiche medievali più importante della città: L’Ottava di Sant’Egidio, celebrata ogni anno dal 30 agosto fino al fino al 6 settembre.
Film girati a Viterbo e nella Tuscia
Pasolini non fu l’unico cineasta a innamorarsi dell’enigmatica Tuscia, abbracciata a occidente dalla luccicante lama del mar Tirreno e a oriente dal tortuoso percorso del fiume Tevere: intervallata da conche lacustri, ampie aree boschive, grandi laghi e massicci pianori tufacei da cui sbucano, come funghi nel terreno, i suoi borghi rupestri.
Dal cinema anni ’50 di Fellini fino alle più odierne produzioni, la regione della Tuscia è stata spesso protagonista di lungometraggi e produzioni televisive. In particolar modo Viterbo, città dall’antico splendore e dalle eterne ricchezze – con i suoi palazzi aristocratici, le vie del centro medievali e i giardini all’italiana di Villa Lante – ha catturato di recente lo sguardo di un cineasta in particolare: il premio oscar Paolo Sorrentino, preferendola a Roma, la scelse come palcoscenico per le riprese di “The Young Pope”.
I luoghi di Pasolini nella Tuscia
Lo stesso Pasolini cedette più volte al richiamo del fascino della Tuscia; vi fece ritorno per le riprese del film “Il Vangelo secondo Matteo” (uno dei migliori film su Cristo secondo l’opinione di Martin Scorsese), dove scelse come set un altro borgo della Tuscia viterbese: il borgo di Chia, con il quale instaura un legame profondo suggellato dai seguenti versi tratte da “La nuova gioventù. Poesie Friulane”:
«Il sole indora Chia / con le sue querce rosa / e gli Appennini / sanno di sabbia calda. / Io sono un morto di qui, / che torna, / oggi 5 marzo 1974, / in un giorno di festa / Contadini di Chia! / Centinaia di anni o un momento fa, / io ero in voi.»
Un borgo che oggi, come al tempo di Pasolini, appare abbandonato, lasciato a sé stesso, ma che in realtà racchiude tra strade a ciottoli e le rovine romane, una bellezza nascosta che deve solo essere portata alla luce: come un germoglio non ancora fiorito del quale si deve avere cura. A protezione del borgo c’è una torre, la Torre di Chia che, sovrana a 42 metri di altezza, sovrasta l’intera città. Pasolini, ne rimane folgorato tal punto da citarla in alcuni versi del Poeta delle Ceneri, forse ancora inconsapevole che, dopo molti anni, il suo sogno di abitarci sarebbe diventato realtà.
“Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/ nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto / sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta/ innocenza di querce, colli, acque e botri, / e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”
Pasolini, attraverso le sue parole e le sue immagini, si fa portavoce di un territorio nel suo essere anche contraddittorio; in tal senso la Tuscia della ricchezza e dello splendore di Viterbo o Orte e dell’abbandono del borgo di Chia, sono due facce della stessa medaglia che ci chiamano e ci parlano forte con una voce unica sebbene sfaccettata. Rendendoci partecipi della loro storia, Pasolini ci chiede nel suo ennesimo atto corsaro di ascoltarle e di averne cura amandone gli eccessi e gli istinti, perché solo in questo modo saremmo in grado di coglierne la vera essenza.