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L’Utopia secondo Olivetti

“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Io credo nei sogni che diventano propositi”. In questa frase di Adriano Olivetti c’è il nocciolo di una scienza intesa in senso umanistico, come integrazione tra diverse discipline che alimenta la formazione di un pensiero proiettivo. Una tessitura, una trama, che la sesta edizione del Festival ScienzaInScena esplode ed esplora nella sua natura multiforme e allargata attraverso uno sguardo che parte da fuori di noi, oltre noi, per giungere a storie di scienza che hanno lasciato tracce importanti nella recente evoluzione industriale del nostro Paese e non solo. Testimonianza, propensioni, visioni, commistioni coraggiose che definiscono il teatro perfetto per narrare la storia di un uomo speciale e di una macchina speciale, quella di Mario Tchou e ELEA come viaggio tra cronaca, teorie e aspirazioni scientifiche che all’inizio, quando sono state pensate per la prima volta tra Ivrea e gli States, sembravano davvero confinare con la fantascienza.

La fantascienza diventa realtà

La Storia ha però dimostrato come non era fantascienza e al PACTA SALONE “ELEA il sogno interrotto di Mario Tchou” ha portato in scena l’invenzione di un uomo e l’infrangersi del suo sogno, sul confine tra Icaro e Prometeo; un’avventura umana, intellettuale e scientifica che ha scolpito, in meno di un decennio, il cammino della Scienza e della Conoscenza, disegnando una visione del mondo desiderata con ostinato ma lucido ottimismo,  interrotta solo a causa di un tragico (per alcuni misterioso) incidente stradale il 9 novembre 1961. Sull’automobile diretta a Ivrea, quartier generale della Olivetti, viaggiava quel giorno il trentasettenne Mario Tchou, ingegnere visionario che custodiva il brevetto di un nuovissimo calcolatore che avrebbe proiettato l’Italia all’avanguardia nel mondo nella sperimentazione tecnologica sull’intelligenza artificiale; un sogno, anzi un proposito, che ebbe fine quella notte tanto che poco dopo la divisione elettronica della Olivetti fu dismessa e nel 1964 fu ceduta all’americana General Electric.

Elea 9003 è il capolavoro della Olivetti guidata da Mario Tchou: un calcolatore eccezionale, capostipite di tutta la futura tecnologia basata sul sistema binario, chiamato con lo stesso nome della polis greca dove, oltre 2500 anni fa, ha preso vita una delle scuole filosofiche più importanti per lo sviluppo della civiltà occidentale: la scuola eleatica di Parmenide. Quello di Elea è un movimento elastico dalla filosofia alla tecnologia e ritorno, in un passaggio visionario e geniale capace di unire l’intuizione dei greci con la concretezza degli ingegneri. Elea, insieme musa del pensiero e dell’elettronica disegnata a cavallo dell’Oceano dall’incrocio delle menti di Adriano Olivetti, Enrico Fermi, Mario Tchou e Ettore Sottsass

La storia di Tchou

Figlio di diplomatici cinesi, nato e cresciuto a Roma, fu infatti a New York che nel 1954 Tchou incontrò Olivetti, in seguito alla segnalazione fatta all’imprenditore di Ivrea da Enrico Fermi che già da qualche anno stava cercando di convincere l’Olivetti a investire sull’elettronica. Il nuovo Laboratorio di ricerche elettroniche della Olivetti fu aperto da lì a un anno a Barbaricina, un sobborgo di Pisa; Giorgio Sandri, tecnico arrivato a Barbaricina nel 1957, ricorda in una intervista la struttura del laboratorio e le attività in corso: “Salendo al primo piano della villa e affacciandosi al balcone si vedevano prati e piante a vista d’occhio. L’Ufficio di Mario Tchou era arredato in modo quasi spartano ma con una ricca biblioteca con volumi tutti rigidamente in inglese. A Barbaricina si era poi instaurata la consuetudine di riunioni in cui partecipava la prima linea, spesso allargata ai principali collaboratori di ciascun gruppo”.

Lavoro di gruppo, gestione per processi, modelli di comunicazione e integrazione; modi di agire e pensare che non si sono persi con lo spostamento successivo a Borgolombardo, in provincia di Milano, dove dopo poco tempo, nel 1959, il team guidato da Tchou riuscì a portare a compimento il progetto l’Elea 9003, il primo computer italiano totalmente a transistor. Era un prodotto d’avanguardia per l’epoca, arrivato alcuni mesi in anticipo rispetto al prototipo analogo dell’Ibm, affidato per il design al genio di Ettore Sottsass, che aveva realizzato una console dalla forma ergonomica e coi comandi facilmente alla portata dell’operatore, nel pieno rispetto della filosofia aziendale Olivetti: l’uomo e non la macchina al centro del progresso.

Lo sviluppo di Elea non si fermò lì: nel 1960 fu realizzato l’Elea 6001, un calcolatore di minor costo e dimensioni orientato ad applicazioni di carattere scientifico e rivolto quindi per un’utenza media come istituti universitari, enti pubblici e media industria; tra il 1960 e il 1961 però la scomparsa prima di Adriano Olivetti, morto improvvisamente il 27 febbraio 1960, e poi quella di Mario Tchou, incisero sulle sorti dell’azienda nel campo dell’elettronica.

Un computer grande quanto una scatola di fiammiferi

L’eredità di Mario Tchou nel campo della tecnologia e anche in quello culturale, incarna l’eccellenza italiana e inoltre rappresenta una testimonianza d’integrazione fra culture diverse: dalla sua storia traspare un forte valore intellettuale ed umano, una alchimia tra talento e determinazione che ha portato a raggiungere risultati scientifici fondamentali. La moglie di Tchou, Elisa, intervistata in occasione della recente uscita della fiction su Adriano Olivetti, ricorda che suo marito parlava spesso di realizzare un computer per il mercato dei privati: “Mi mostrò una scatola di fiammiferi, dicendomi che un giorno, l’enorme Elea sarebbe stato tutto lì dentro”.

Un computer grande come una scatola di fiammiferi. Un sogno, anzi un proposito, che avrebbe spinto il mondo molto più avanti. Un’accelerazione che, forse, a Mario Tchou costò la vita.