Salieri come primo precettore, Paganini come ispirazione e aspirazione, Dante, Michelangelo e Tiziano come muse artistiche; la passione di Franz Liszt per l’Italia si è tradotta in una sinfonia non solo musicale: una partitura vera, vissuta, sentita dal compositore con intenso amore per il nostro Paese di cui ha esplorato paesaggi, letteratura, lirica e tradizioni traducendole nel suo linguaggio espressivo.
L’amore di Liszt per l’Italia
Totalmente compenetrato nell’ideale romantico dell’arte intesa come trasfigurazione poetica dell’esistenza, in grado di realizzare un momento creativo di osmosi tra poesia, musica e pittura, il compositore nato il 22 ottobre 1811 a Raiding, nel Burgenland, subì il fascino della cultura italiana e riversò la sua passione per l’Italia in molte sue composizioni; a tal proposito, in una lettera a Hector Berlioz scrisse:
Il bello in questo privilegiato paese mi appare sotto le sue forme più pure e sublimi. L’arte si mostra ai miei occhi in tutto il suo splendore; si rivela a me nella sua universalità e nella sua unità.
Cenni biografici su Liszt
Franz Liszt è stato una delle personalità più brillanti di sempre nel panorama della musica classica: fu intellettuale, viaggiatore, scrittore, gran seduttore, virtuoso del pianoforte in grado di riempire le sale dei concerti, ma soprattutto instancabile compositore. La sua vita è uno dei romanzi più emozionanti della storia della musica di ogni genere e fu circondato – un po’ come Paganini che considerava un suo grande modello artistico – da un’aura di artista geniale, violentemente diviso tra estasi mistica e vocazione demoniaca. L’udire il più grande violino della storia, nel 1831, fu in effetti una vera e propria rivelazione per il giovane Liszt; lì, in quel momento, decise di adottare un imprinting di carattere violinistico nel suo modo di suonare, affinato in un linguaggio armonico in cui audaci cromatismi e picchi acuti e dirompenti si mescolano, in un susseguirsi di ascese e cadute, a delicate suite melodiche.
Franz Liszt, nato in una regione a inizio Ottocento compresa nella parte magiara dell’impero austroungarico, già in tenera età riceve lezioni di pianoforte dal padre, severo e ambizioso maestro di musica. Dopo essersi trasferito a Vienna, dove è stato allievo anche di Antonio Salieri, si reca con la famiglia a Parigi, città in cui fa conoscenza di grandi musicisti a lui contemporanei, quali Chopin, Berlioz e Mendelssohn. Gli anni seguenti sono caratterizzati da viaggi senza sosta attraverso tutta l’Europa, intarsiati a numerosi concerti e nuove composizioni; dopo aver soggiornato in Svizzera e in Italia, è però Berlino il luogo elettivo dove, appena trentenne, la sua bravura di pianista ottiene un successo tale, in particolare tra il pubblico femminile, che porta il poeta Heinrich Heine a coniare addirittura il termine “lisztomania”. In effetti, la cascata di capelli lunghi che gli scendeva sulle tempie, le dita affusolate innestate su mani grandi e inafferrabili, la corporatura allungata, il fisico affusolato, lo sguardo magnetico o assorto, la forte personalità, la cultura e la amabilità ne facevano un perfetto oggetto di culto: il prototipo stesso dell’artista romantico intriso di genio e sregolatezza.
Liszt e le donne
Molti aneddoti raccontano del suo fascino: quando una nobile russa respinta sembra lo abbia minacciato con la pistola; quando, assalito dalla stanchezza e addormentato sul suo pianoforte, si è risvegliato tra una dozzina di donne che stavano ritraendolo su un foglio; quando la contessa Olga Janina tentò il suicidio per lui. Pare fosse talmente subissato di richieste di ciocche di capelli da parte dei suoi ammiratori di penna al punto di prendere un cane a cui tagliava piccole ciocche di peli, fingendo che fossero i suoi. Ben note sono poi alle cronache dell’epoca le vicende dell’amore con Marie de Flavigny contessa d’Agoult, già sposata e madre di due figlie, iniziato nel 1833 nella casa di George Sand, androgina amante di Chopin, e durato una decina d’anni. Prima di tutto questo è però a fianco di un’altra Marie, Marie D’Agoult, che nel 1837 Liszt giunge in Italia, dove sono nati i suoi due figli, Cosima e Daniel, e dove la coppia si fermò sul Lago di Como, a Venezia e a Milano, visitando nel frattempo anche Verona, Brescia, Padova, Bologna, Pisa e Lucca, poi Firenze e, infine, Napoli e Roma.
Liszt a Villa d’Este a Tivoli
Al netto delle vicende e leggende sul versante sentimentale, sul piano interpretativo uno dei segreti del grande successo di Liszt sta nel suo approccio verso i grandi, mai all’insegna della competitività e della gelosia ma sempre di cura e di attenzione nella valorizzazione delle singole peculiarità stilistiche e compositive. Inventore di un nuovo modo di suonare, nella melodia si affidava ai pollici delle due mani mentre le altre dita erano libere di destreggiarsi con arpeggi e ottave; il suo stile inconfondibile non faceva leva però solo sulle novità tecniche bensì anche sull’espressività e la gestualità, unendo filologia pura a stravaganti libertà nelle interpretazioni delle partiture. Una dualità che è rimbalzata anche sulla vita di Liszt che dopo un primo ventennio legato a Weimar – dove stringe amicizia con Richard Wagner e dedica anni a composizioni ispirate al mefistofelico e al faustiano – dal 1861 si trasferisce stabilmente tra Roma e Tivoli, presso la celeberrima Stanza delle Rose di Villa d’Este, dove si dedica a composizioni religiose e a opere di musica sacra in virtù delle quali Papa Pio IX gli conferirà gli ordini minori e la carica di abate coronando la sua aspirazione giovanile ad appartenere agli ordini ecclesiastici. A tal proposito, dall’albergo Alibert di via del Babuino scriverà all’amico Wagner: “Il Papa mi ha salvato. Basta con le donne, voglio provare con Dio”.
Nonostante continui e repentini cambi di registro morale, o forse proprio grazie a questi, nella sua vita come nella sua arte Liszt è stato in grado di creare un nuovo canone sia compositivo che interpretativo. È stato in tutto un vero poeta sinfonico, capace di esplorare le iridescenze cangianti del pianoforte; un musicista rivoluzionario e unico nel suo genere, ricco di contrasti violenti e di inconfondibili linee melodiche; un irresistibile connubio fra genio e visionarietà, innovazione e intuizione; un ardito paradosso tra effusione e contrizione, veemenza e climax trascendentali. Baudelaire ha fissato perfettamente tale coacervo mistico e carnale in un passaggio de “Le Fleurs du Mal” ispirato a Liszt: “Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino, versa, mischiandoli, beneficio e delitto. Che tu venga dal cielo o dall’inferno, cosa importa. È Bellezza”.