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A Carnevale ogni scherzo vale, lo abbiamo detto tutti almeno una volta. Perché il carnevale regala allo scherzo uno spazio d’azione mitico, che mette lo spirito salace in circolazione tra cielo, terra e inferi, in una cornice che riguarda l’uomo e le sue mete: un destino che, almeno a Carnevale, è possibile riscrivere con ironia beffarda.

Le origini del carnevale

Derivazione di feste mobili di origine greca e latina, il carnevale venne riscoperto in Italia intorno al XV secolo: è infatti nel Quattrocento che questa parola inizia a essere utilizzata in concomitanza con il martedì grasso e l’inizio della quaresima. In realtà il termine carnevale era già in uso in Italia da qualche secolo, in particolare a Venezia, dove è possibile risalire sino all’XI secolo per indicare un’importante festa cittadina mascherata che sarebbe poi evoluta in quella che, ancor oggi, è riconosciuta come una delle rappresentazioni più iconiche e apprezzate al mondo.

A Venezia, la prima maschera

Tra l’altro, elemento non di poco conto, quello veneziano è forse il primo vero carnevale a introdurre la maschera come accessorio determinante, a livello sia pratico che simbolico: la maschera che copre il volto è lo strumento attraverso cui il carnevale moderno recupera dai riti dionisiaci greci e dai saturnali romani il senso di ribaltamento temporaneo dell’ordine sociale. Durante le dionisiache e le saturnali si realizzava infatti un totale sconvolgimento dell’ordinamento sociale, le convenzioni sociali in quelle giornate venivano sospese e in nome dello scherzo e della dissolutezza, ognuno era libero di dire ciò che voleva e lasciarsi andare ad azioni fuori dal comune.

Il carnevale nel mondo, le origini pagane

Festività di questo tipo ne incontriamo in quasi ogni civiltà antica: a Babilonia, in occasione dell’equinozio di primavera, ma anche in India, in Cina, in Giappone, nel mondo germanico e in quello celtico. Il carnevale, a tutti gli effetti, appare dunque come la festa del mondo: che appartiene all’umanità e si intreccia alla commedia dell’arte muovendo dalle ritualità cristiane e pagane. Non è quindi un caso se oltreoceano nel XIX secolo, negli Stati Uniti e in Brasile, al tramonto della schiavitù, sia riuscito a radicarsi e affermarsi così tanto da rendere città come New Orleans e Rio de Janeiro due delle capitali mondiali del carnevale.

L’etimologia di carnevale

Passato indenne attraverso i secoli e le culture, oggi il carnevale è soprattutto questo: una festa giocosa, allegorica, con un’alta, altissima, concentrazione satirica. Ma perché nell’immaginario collettivo esistono, forse da sempre, certe figure oniriche indissolubilmente legate alla memoria ancestrale di questo periodo dell’anno? E che cosa reclama il Carnevale? Soltanto nessuna obbedienza, nessun lavoro, nessun riposo? In altre parole, a che cosa rimanda il suo riso sardonico, quindi dolceamaro e sprezzante?

Perfino la sua etimologia, confusionaria e ambigua, ci irride: carne vale, carne addio, oppure carne levamen cioè sollievo della carne? Come allegoria navigante la stessa origine del termine si è nei secoli mascherata, diventando sempre meno comprensibile e, dunque, sempre più malleabile, tanto da essere accolta con ogni sorta di atteggiamento in ambito letterario: si va dalla censura moralistica da parte di alcuni autori ottocenteschi (Manzoni, Sacchetti e Tarchetti), all’estraneità esistenziale espressa da Verga e dallo Svevo di Senilità, sino ad arrivare al riconoscimento della maschera come topos narrativo fondamentale da parte di Pirandello, Gadda, Eco.

Dolci carnevaleschi

Ma, tornando a oggi e tra i mortali, forse la forma del Carnevale più consona al periodo che viviamo la descrive Grazia Deledda: “Il Carnevale giungeva per me verso il mezzogiorno del giovedì grasso, quando la zia si sedeva accanto al fuoco per friggere le ciambelle. Io le stavo vicino, con gli occhi al recipiente della pasta lievitata che odorava di bucce di arancio e d’acqua vite”.

Come si chiamano i dolci di carnevale in tutta Italia

Un quadro privato legato alle tradizioni, al quotidiano, un’estasi tutta domestica che unisce il cuore al palato. A ben vedere, infatti, il Carnevale ha la forma di una frittella. Che siano impasti ‒ fritole veneziane, castagnole in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Lazio, a Milano tortelli ‒ o strisce di impasto fritto ‒ chiamate chiacchiere a Parma, in Umbria, Campania, Basilicata, frappe a Roma, Viterbo e Ancona; cenci in Toscana; crostoli in Friuli e Trentino; galani nel Veneto; bugie in Piemonte e Liguria ‒ il Carnevale trasuda a ogni passo di olio messo a temperatura.

Il significato del Carnevale

Ed è forse mentre si aspetta il perfetto punto di frittura che il Carnevale mostra la sua vera natura, se non etimologica di sicuro umana: un tentativo di unire nella festa Dioniso e Cristo, una ripresa del tempo al suo inizio, un tentativo di rinascere; da qui lo scatenarsi della licenza, la coincidenza di tutti i contrari e la violazione di tutti i divieti, anzitutto rispetto alla dieta.

Se già non bastasse l’aria del Carnevale, l’ennesimo scherzo del destino pone nel 2021, l’ultima domenica di Carnevale, il giorno di San Valentino; così che il Carnevale, ancora oggi metafora dell’antica rivolta e della diserzione, quest’anno sarà olo di una Storia d’amore e di anarchia che Lina Wertmüller amerebbe di certo. Una commedia dove il Carnevale rimane al di qua del sentimentalismo, col suo sdegnoso rifiuto con ironia venata di rabbia, ma in fondo è anche costretto a parlarci con amore, come San Valentino.

Non ci resta che terminare con questa speranza pazza, conseguenza forse del periodo che ci abbraccia tutti; ma sia chiaro: se, in onore della bellezza, anche avessimo inventato questa Liaison dangereuse solo per finire questo articolo, “dopo tutto cos’è la bugia? Solo la verità in maschera” (W. Shakespeare). Perché a Carnevale…

Foto di Lívia Chauar