“Guardare una cosa è ben diverso dal vederla. Non si vede una cosa finché non se ne coglie la bellezza” diceva Oscar Wilde. Beh se prima della ristrutturazione di qualche anno fa piazza Leonardo Da Vinci poteva piacere solo ai milanesi, oggi è diventata un piccolo gioiello. Da vedere. Sì perché il Politecnico di Milano – Il Poli, come lo chiamano i milanesi doc – ha proprio qui la più antica tra le sedi, con la sua facciata imponente e i suoi pinnacoli. Il Politecnico di Milano, inaugurato nel 1927 negli edifici situati in piazza Leonardo da Vinci, nel corso dei decenni si è ampliato fino a comprendere nuovi campus e a dare vita a un vero e proprio quartiere universitario (comunemente denominato “Città Studi”) disseminato tra le vie Bassini, Ponzio, Mancinelli e Colombo.
Dove Scerbanenco ambientava i suoi gialli
Prima di chiamarsi come la conosciamo oggi, piazza Leonardo da Vinci era intitolata a Roberto Ardigò, filosofo morto suicida nel 1920 all’età di 92 anni. C’è quindi sin dall’inizio un sottile filo che lega genio e dramma nel solco di queste strade… che possiamo andare a svelare grazie alla penna appuntita di uno degli scrittori che in mezzo a queste vie ha ambientato il cuore dei suoi romanzi: Giorgio Scerbanenco.
Scerbanenco è il grande maestro del giallo italiano, noir si direbbe oggi. E le gesta dei suoi personaggi incidono spesso nel dedalo di traverse di Città Studi perché quello era il luogo di Milano dove aveva passato buona parte della sua vita. Se in Leonardo da Vinci 10, all’angolo con via Pascoli, si trova l’appartamento dove abita Duca Lamberti, il suo personaggio più famoso e amato, nella realtà qui Scerbanenco si recava in segreto a trovare una donna molto amata, e che ritroveremo in molte delle sue storie.
Com’era una volta Città Studi
Scerbanenco non poteva scegliere un luogo migliore per dare casa al suo protagonista: piazza Leonardo da Vinci era l’estrema propaggine della città borghese che si insinuava nelle periferie operaie, negli anni Settanta regno di fabbriche e officine, ma anche del crimine organizzato. Uno come Lamberti non avrebbe mai vissuto in centro, protetto dai Bastioni: il suo appartamento doveva essere un avamposto verso l’esterno, un ponte tra due mondi. Un punto di vedetta da cui, percorrendo il tratto alberato di via Pascoli, arriviamo in piazza Carlo Erba, dove sorgeva la vecchia Rizzoli, in cui Scerbanenco lavorò per quasi vent’anni. Da qui, infilando via Plinio, ripercorrendo i passi di Duca Lamberti in “Venere privata” si raggiunge il bar Basso, dove incontra per la prima volta Livia Russo, la donna di cui si innamorerà in modo maledetto e tragico. Con la sua insegna rossa dai caratteri rétro, gli interni in boiserie e i lampadari di cristallo, il Bar Basso sembra un pezzo di Parigi caduto nella circonvallazione meneghina: per essere lì con Scerbanenco basta immaginarlo con la nebbia che avvolge i tavolini esterni, lungo il marciapiede, e una bellissima donna dai capelli lunghi e il rossetto sulle labbra che sorseggia un drink; magari uno Sbagliato, cocktail che è stato inventato proprio qui, in quegli stessi anni.
Città Studi oggi
Città Studi è una bella zona di Milano, e non è cambiata molto dai tempi di Duca Lamberti: pochi negozi, poca gente in giro, case basse e ben tenute, un silenzio quasi irreale. Sarà per questo che in qui hanno deciso di abitare sia Lucio Battisti che Carlo Emilio Gadda. Gente di poche parole, che mettendo al posto giusto il silenzio tra le frasi hanno incantato e innovato il lessico italiano, in musica e in letteratura.
E poi, più semplicemente, ci sono alcuni giorni in cui piazza Leonardo da Vinci è di una bellezza quasi struggente, proprio per il suo essere spuria, incongrua. Lo dice anche Scerbanenco: «Quando uno ha una finestra aperta su piazza Leonardo da Vinci, con gli alberi di nuovo verdi per la primavera, ha tutto».