Da Ippolito Nievo a David Maria Turoldo, passando da Pier Paolo Pasolini ed Ernest Hemingway, il ricordo della campagna del basso Friuli ha ispirato importanti romanzi e appassionate poesie. Protagonista assoluto di questo paesaggio è il Tagliamento, l’ultimo grande fiume d’Europa a conservare integro il suo naturale ecosistema e la spettacolare struttura a canali intrecciati. Attorno al suo incedere, le evocazioni letterarie si giocano in un sottile fazzoletto di terra: il fiume Varmo, che scorre nei pressi ed è anche il titolo di una novella di Nievo che anticipa il suo capolavoro, “Le Confessioni di un italiano”; poco più in là c’è Sedegliano, dove nacque padre Turoldo e sull’altra sponda del fiume Casarsa, paese natale di Pasolini; da qui in avanti tutto il Friuli (e il Veneto) percorsi da Hemingway nella sua vita e nei suoi romanzi ispirati al nostro Paese.
I luoghi del Tagliamento nella letteratura
In questa pianura vasta e taciturna, abitata da un popolo silenzioso e forte, il Tagliamento è acqua che si fa storia: è la pace dopo la guerra, è stupore di fronte alla natura che resiste, è riscoperta di sé stessi. È stato chiamato “piccolo grande Fiume”: piccolo per la sua ridotta lunghezza (solo 178 km di cui i primi cinque sesti scorrono interamente in Friuli e la restante parte si fa confine col Veneto), grande perché il Tagliamento è uno dei rari fiumi europei che ancora conserva una naturalità che l’accompagna dalle sorgenti, ubicate presso il Passo della Mauria (a Forni di Sopra, in provincia di Udine), fino a Ronchis di Latisana, a quasi 30 km dalla foce in Adriatico. Un fiume che riunisce in sé l’impeto e l’anima dei suoi affluenti i quali, come tributo, riversano incessantemente nel suo alveo non solo acque, ma anche una varia e infinita quantità di frammenti rocciosi scalzati e prelevati dai rilievi montani che al sole assumono riflessi unici e magici.
Una volta giunto in piano dopo aver terminato il tratto montano, il Tagliamento utilizza gli spazi aperti per mostrare il meglio di sé: il proprio scheletro ghiaioso solcato da infiniti mosaici naturali, linfa perenne e fonte inesauribile di ispirazioni liriche e letterarie. Qui rimane ancora vivo il ricordo del legame che Ernest Hemingway ha avuto con la terra che si affaccia sulle due rive del fiume. Un ricordo che parte dal fronte e dalla guerra e si evolve fuori dal fango sino a toccare le dimore nobili personaggi delle valli, nella laguna, nella pineta, nei canali. Sono luoghi affascinanti che ancor oggi si possono visitare, nelle valli e lungo i litorali tra Lignano, Bibione e Caorle, nella pineta e nella spiaggia di Lignano Sabbiadoro, con una sosta a San Michele al Tagliamento, nel verde dove è immerso ciò che rimane della suggestiva “Villa Ivancich”, il grande complesso residenziale che ha ispirato “Di là del fiume e tra gli alberi”, il celebre romanzo ambientato proprio in questo piccolo mondo.
Perché Hemingway si legò ai luoghi del Tagliamento
Ma cosa legò così tanto, e così profondamente, Hemingway a questa terra di confine? Probabilmente l’acume e l’amore verso ogni forma di vita, che lo portò a scoprire e a innamorarsi non solo del paesaggio, ma di quanto in esso era contenuto. Hemingway amava il mare, certo, però viveva di una curiosità lucida anche i luoghi affascinanti e talvolta crepuscolari che percorreva, fissandone non solo la grazia ma spesso anche il declino, evocandone la forza e la fragilità, entrambe connotati fedeli dei personaggi dei suoi libri. Una natura, una terra, un fiume che piacevano a Hemingway perché parlano dell’uomo. Un luogo della memoria che mostra ancor oggi alcune stimmate delle importanti vicende belliche che lo hanno avuto come teatro tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento; perché, se tutti ricordiamo la Prima guerra mondiale essenzialmente come conflitto giocato sulle montagne, in trincea, è invece nel solco dei fiumi – l’Isonzo, il Piave e il Tagliamento – che si è giocato il destino del conflitto per quanto concerne l’Italia.
L’enogastronomia del “piccolo grande fiume”
La guerra. La caccia. Il mare. Per racchiudere Hemingway in poche parole manca solo la tavola, come simbiosi mistica di cibo e alcool. Non è dunque un inciampo notare che sulle terre bagnate dal Tagliamento hanno patria alcuni dei prodotti gastronomici più interessanti del Friuli Venezia Giulia. Essendo una zona di pianura, i produttori locali hanno cercato per i loro vigneti le posizioni migliori per ottenere uve idonee a una produzione in linea con gli elevati standard presenti sia in Veneto che nel resto del Friuli, affinando uvaggi autoctoni dove la vicinanza al mare e le brezza salina contribuiscono a dare una caratteristica mineralità. Sul versante gastronomico poi, il Tagliamento porta a valle suggestioni meticce che arrivano a livello del mare muovendo dai vari angoli del territorio friulano: dalla ricotta affumicata alle antiche varietà di mela, dall’aglio dolce di Resia (lo stok) alla varhackara, un impasto di lardo bianco, speck e pancetta affumicata affinato in vasche di pietra – tipico di Timau carnico ed entrato l’anno scorso tra i presidi Slow Food – per arrivare a uno degli esempi virtuosi di resilienza locale: il Pancor, un pane realizzato con una farina ottenuta dalla corteccia di abete alpina e che profuma di bosco.
I cicchetti del Triveneto
Una cucina povera quella friulana, frutto di un retroterra culturale e antropologico simile a quello del vicino Veneto. Popoli abituati a fare tanto con poco, e che per questo hanno fatto del “cicchetto” una strategia gastronomica. Per i non triveneti, il “cicchetto” è un assaggio, uno stuzzichino, associato indissolubilmente a un’ombra di vino: quando affrontate una cicchetteria, nel menu che vi troverete in mano non incontrerete più dunque primi, secondi e contorni, ma solo un elenco di portate proposte in piccole o mezze porzioni: i cicchetti.
“Mi trovo bene da voi e rimarrei a lungo” ebbe a dire Hemingway prima di ripartire per l’ultima volta dalla terra friulana, il 15 aprile 1954. In cuor suo avrebbe forse voluto dire “rimarrei per sempre”. Non a caso le cronache riportano che il 2 luglio del 1961, giorno in cui si suicidò con una fucilata, poche ore prima di farlo cantò con la moglie Mary “La mula de Parenzo”, tipica canzone popolare di origine istriana ma adottata in tutto il Triveneto come un vero inno. Quasi un testamento, un saluto finale rivolto al suo amato Friuli: una terra che evidentemente, sino all’ultimo, non riuscì a dimenticare.
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