Andate a Prato. Scoprite Prato. Anzi, mettete Prato all’inizio del vostro viaggio in Toscana. Perché dentro e attorno Prato i vostri occhi, le vostre mani e la vostra mente possono giocare, colorandosi di sensazioni voraci e meravigliose; una città dove ogni luogo diviene pensiero e il pensiero arte, a celebrare un percorso che è storia di intraprendenza e orgoglio, e dunque veicolo di un popolo. In una frase, che ci sussurra il ricordo di Malaparte appena ci accoglie: “È a Prato dove tutto va a finire: la gloria, l’onore, la pietà, la superbia, la vanità del mondo”.
Sulle tracce di Curzio Malaparte
“Io son di Prato; se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo e penso che il solo difetto dei toscani sia quello di non esser tutti pratesi”. Curzio Malaparte (all’anagrafe Kurt Erich Suckert) rivendicò sempre il suo essere orgogliosamente pratese.
Prato per Malaparte non è solo un luogo di nascita, ma una casa che lo ha seguito nonché ispirato in vita e dove ha voluto riposare dopo la morte; egli dunque è un buon compagno di viaggio per arrivare a Prato e visitarla: non solo perché in fondo non l’ha mai davvero lasciata ma perché, in quanto cervello davvero multiforme e camaleontico, un po’ come è accaduto a Prato, è stato rimosso per molto tempo dalla memoria artistica del nostro Paese in nome di una solo presunta conoscenza.
Prato, infatti, un po’ troppo banalmente viene spesso collegata solo all’operosità cinese e all’attività secolare dei lanaioli, o meglio cenciaioli. Ma accostarsi a Prato attraverso Malaparte significa andare oltre questo, per cercare immagini preziose che dilatano gli spazi e deformano ogni preconcetto: significa accettare la sfida di camminare fianco a fianco con uno scrittore atipico, coraggioso, che cerca ancora i valori dell’arte pura e ne difende la loro sopravvivenza nel caos delle suggestioni contemporanee legate a un consumo (anche turistico) istantaneo e vorace. D’altronde, un po’ come la storia di Prato, la vita di Malaparte è stata un gioco di equilibrismo tra potere e libertà, tra la sofferenza di essere ai margini e l’orgoglio di rivendicare questa differenza.
I luoghi dello scrittore pratese
Prato infatti è una rappresentazione che cambia attorno a chi la visita, la cui architettura mobile si muove tra la pietra del centro e i materiali dei suoi dintorni che sanno svelare, come pochi territori in Toscana, una natura unica, allo stesso tempo selvaggia e delicata. Ed è ancora una volta seguendo Malaparte nella strada verso il suo mausoleo che possiamo scoprire quest’anima affascinante e appuntita di roccia e di vento.
Infatti, se Curzio Malaparte morì a Roma il 19 luglio del 1957 qualche tempo dopo, per sua volontà, il corpo fu collocato sulla vetta del monte chiamato dai pratesi Spazzavento, all’inizio della valle del Bisenzio, in un sepolcro in pietra situato a metà della piana su cui sorgono Firenze e Pistoia; da qui si scorgono da una parte le prime alture dei monti della Calvana cui Prato è addossata, dall’altra le colline del Monteferrato e, in un battito di ciglia, si passa da luoghi fitti di abitazioni o insediamenti industriali a zone ampiamente ricoperte di boschi e fasce di terreni coltivati, dove sono molte e diverse le possibilità di escursioni: dalle semplici passeggiate, agli itinerari più impegnativi in un ambiente decisamente montano, alle camminate nella fitta vegetazione influenzata dai fenomeni carsici che spuntano su praterie imponenti battute dal vento.
Tornando poi dai dintorni al centro, Prato nel suo cuore storico svela una sorta di magnifico romanzo catastale: già nel XII secolo era la città delle sessanta torri, edifici con prospettive verticali dalle facciate austere disegnate verso il cielo con piccole finestre, stretti porticati, feritoie e buche pontaie. Le “case torri” dominavano e difendevano Prato e per questo si distinguono facilmente per un piglio arcigno e ardito.
Tra Rinascimento e modernità
L’ambientazione e l’atmosfera del Trecento riecheggiano dai profili austeri di queste strutture, ma anche nella memoria delle gesta di Francesco di Marco Datini, altro simbolo dell’intraprendenza pratese nel suo essere l’inventore rispettivamente della lettera di cambio, della chiocciola (@) come segno di comunicazione e della holding company come vera impresa pienamente moderna: dove la capacità di condurre gli affari si combinava con spiccate doti di benefattore, facendone uno straordinario esempio di mercante del primo Rinascimento.
Arte rinascimentale e contemporanea
Sempre passeggiando per il centro storico, di sicuro sarete colpiti dal Castello dell’Imperatore, unica testimonianza di architettura sveva dell’Italia centro-settentrionale, come pure dal Duomo, sulla cui facciata spicca il Pulpito di Donatello e Michelozzo e il cui interno – dove è custodita la venerata reliquia della Sacra Cintola della Madonna – è impreziosito dagli splendidi affreschi del “frate con prole” Filippo Lippi, prima scomunicato dalla Chiesa per la sua relazione con Lucrezia Buti, da cui ebbe il figlio Filippino, e poi riabilitato grazie all’intercessione di Cosimo De’ Medici. Usciti dalla cattedrale, al centro della Piazza del Duomo si trova, ancora nelle parole di Malaparte, “la macchia rosea della fontana di marmo, da bel colore di carne”, che se i pratesi chiamano “del Papero” per i cigni appoggiati sui bordi delle vasche, ma in realtà conosciuta nelle guide come Fontana del Pescatorello.
Chi è nato a Prato
Proprio in questa piazza si fermava Malaparte, in un luogo che ha incantato tra gli altri anche Herman Hesse. Malaparte aveva legioni di nemici ma, come ebbe a dire, gli bastavano pochi amici per non sentirsi solo; starebbe dunque sicuramente in buona compagnia seduto al tavolo di un caffè con gli altri artisti di queste terre. Sì perché Prato, nel suo percorso di luogo sempre differente rispetto alla classica iconografia toscana, nel corso del Novecento ha mantenuto una continua dinamicità culturale, dimostrata dalla presenza di pittori di spicco come Ardengo Soffici, il fondatore della “Scuola di Prato” degli anni ’30, ma anche da un’impronta di scrittura tagliente e ribelle; se tutti o quasi conoscono i fratelli Sandro e Giovanni Veronesi, Roberto Benigni e Francesco Nuti, pochi sanno dei mille Veronesi, Benigni e Nuti sparsi tra i paesi delle piane o dei poggi di Prato, immersi mani e piedi in quell’umorismo diffuso tra bar, osterie e circoli che è l’humus dal quale emerge ogni tanto, per nostra enorme fortuna, un comico, uno scrittore o un regista capace di emozionarci e divertirci davvero.
Un laboratorio d’arte contemporanea
A cavallo tra avanguardia e pop culture, Prato è infatti un laboratorio a cielo aperto, dove la creatività è guidata dalla passione per l’arte contemporanea e pulsa nei luoghi che erano della produzione e ora sono ispirazione nella continuità e insieme nella trasformazione delle architetture industriali. Prato dialoga con il genio, si mescola con l’arte, come nel caso del Buco di Prato, monumentale creazione in marmo bianco di Henry Moore – conosciuta anche come Forma squadrata con taglio – che rappresenta uno dei massimi esempi di scultura contemporanea presenti in Italia. Tale ascolto continuo, quasi una devozione per le avanguardie, trova ulteriori conferme nella installazione di luce e ombra Grande Sognatrice di Fabrizio Corneli, nonché nel Museo per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci”, in tale ambito l’approdo più importante di tutta la Toscana.
La tradizione tessile di Prato
La cosa più bella è proprio che a Prato la bellezza si può toccare, e non solo guardare come accade spesso in altre zone della Toscana o dell’Italia; una vocazione che trova radicamento proprio nel processo di lavorazione dei tessuti, le cosiddette “lane rigenerate,” che anche nel nome trasmettono un senso di profondo rinnovamento come frutto di una esperienza tattile importante, che sa ben individuare solo al contatto con le dita la composizione dell’abito usato. Ecco allora che sì Prato è tessuto, e laboriosità; ma un tessuto e una laboriosità che sa di arte croccante, come i suoi Biscotti (volgarmente detti anche cantucci), che profuma di cucina sincera (si veda la bozza di Prato, la mortadella di Prato e il sedano alla pratese), che lascia in bocca lo stesso sapore buono dei nettari alcolici di qualità come il Vino di Carmignano, prima doc riconosciuta al mondo in un bando di Cosimo de’ Medici, o il Vermouth di Prato, che precede quello di Torino come biografia.
La pratesità è dunque, alla fine, uno spirito orgoglioso e indomito; un modo di essere che riunisce Malaparte a Prato in una pulsione somma alla libertà di azione, di pensiero e di sentimento. Un amore eterno, struggente e divertente allo stesso tempo, da custodire con affetto, una volta lasciata Prato alle vostre spalle, in una tasca interna segreta del vostro abito da viaggiatori impudenti e innamorati dell’Italia migliore.