La vendemmia è uno dei rituali dell’agricoltura più antichi e più affascinanti per l’uomo; è gesto potente, atto che diventa simbolo. Una cerimonia che l’umanità svolge da millenni e che, anche se negli anni sono cambiate tecniche e strumentazioni, mantiene ancor oggi tratti mitici degni di una esperienza più che millenaria, dal momento che già i romani le dedicavano una festività, i vinalia rustica, celebrata il 19 agosto.
La vendemmia abbraccia non solo un significato storico, ma anche un immaginario legato a profumi e sensazioni che porta con sé colori, le emozioni e i legami di quando nei vigneti si riunivano amici, parenti e vicini di casa; di tale ruolo sociale e rituale è talmente intrisa la nostra cultura tanto da far dire a Leonardo Sciascia che “senza le voci della vendemmia, il silenzio è vorace sulle cose”.
La vite più grande d’Europa si trova in Alto Adige
Se intendiamo cercare le radici di questa liturgia potente ed evocativa, di sicuro buona testimone è Versoaln, la vite più grande d’Europa e probabilmente la più vecchia della terra secondo recenti studi scientifici condotti dall’International Tree Ring Laboratory di Gottinga in Germania. Tale vite si trova in Alto Adige, a Prissiano frazione di Tesimo, e il nome pare sia una storpiatura di Versailles; secondo un’altra ipotesi, la sua origine dipenderebbe invece dalla posizione difficilmente raggiungibile, che costringeva i contadini a utilizzare ceste trattenute da corde per il trasporto dell’uva. Allo stato attuale, tale vite è ritenuta essere non solo la più antica ma anche la più grande del continente: i suoi rami coprono infatti circa 350 metri quadri di pergolato e dalla sua uva si produce un vino bianco di struttura delicata, gradevole al palato dato il gusto leggermente fruttato, prodotto ogni anno in 600-700 bottiglie numerate.
La Strada del Vino: un itinerario
Ma Versoaln definisce un luogo iniziatico per la storia del vino del nostro Paese in senso non solo cronologico, ma anche culturale. Infatti, a soli 4km da Tesimo sta Nalles, il paese dove per tradizione inizia, a nord, la Strada del Vino dell’Alto Adige che corre nell’Oltradige toccando la città di Bolzano e proseguendo verso sud fino a raggiungere Salorno. La Strada del Vino dell’Alto Adige, lunga circa 70 chilometri attraverso 15 comuni, con i suoi 58 anni di storia è uno dei percorsi del vino più longevi del nostra Penisola che, oltre che per la sua primogenitura in termini di turismo enogastronomico, si caratterizza per una imbattibile densità in termini di quantità enologica: con 4250 ettari di coltivazione, su un totale di 5114 in Alto Adige, rappresenta infatti l’84 per cento dei vigneti della zona, con una percentuale molto elevata di DOC e DOCG.
A distinguerla non è però solo il dato quantitativo, perché lungo il suo percorso la varietà e la qualità sono davvero uniche: tra le uve bianche si coltivano infatti Pinot Bianco, Pinot Grigio, Chardonnay, Traminer aromatico (Gewürztraminer), Sauvignon, Müller-Thurgau, Moscato Giallo, Riesling, Silvaner, Kerner, Veltliner, Riesling Italico; tra le uve rosse Schiava, Lagrein, Pinot Nero, Cabernet-Sauvignon, Merlot, Moscato, Malvasia.
Non esiste dunque luogo migliore della Strada del Vino dell’Alto Adige per vivere a stretto contatto con la cultura enologica, a cavallo tra evocazione di tempi passati e modernità; qui è possibile passeggiare lungo antiche mura coperte da vigne, ammirare le imponenti residenze signorili e seguire il dolce ritmo della natura. Romani e Asburgici, monaci e poeti, santi e peccatori hanno amato nel corso della storia i vini dell’Alto Adige; e, a dimostrazione del fatto che le radici enologiche altoatesine sono tra delle più antiche d’Europa pare che quando, nel II secolo a.C., i Romani arrivarono in Alto Adige, videro con stupore che i Reti, che allora popolavano questa terra, solevano già conservare il vino in botti di legno, mentre alla corte di Augusto ci si arrangiava ancora con anfore d’argilla e otri di cuoio.
Se, nell’età moderna, una spinta notevole fu impressa alla viticoltura altoatesina durante la monarchia austroungarica, quando si cominciarono a piantare anche il Riesling e i vitigni di Borgogna, è dall’ultimo ventennio dello scorso secolo che la vitivinicoltura d’Oltradige ha vissuto un boom che ancora non accenna a fermarsi.
La qualità, la selezione delle varietà in base ai vigneti, la riduzione drastica delle rese e l’adozione di tecnologie e metodi all’avanguardia, hanno prodotto un salto di qualità al di là di ogni aspettativa, tanto che oggi il 98,8 % di tutta la superficie vitata altoatesina è tutelata dal disciplinare DOC, una quota di gran lunga superiore a ogni altra regione italiana.
I vigneti dell’Alto Adige
A fare la differenza anche qui, come sempre accade nel vino, è un mix perfetto di natura, tecnica e dedizione tramandata nei secoli. I vigneti dell’Alto Adige si collocano infatti a un’altitudine ideale compresa tra i 200 e 1000 metri e le viti crescono su terreni molto diversi tra di loro, che hanno permesso nel tempo esperimenti e affinamenti progressivi: si passa da suoli caldi, ghiaiosi o sabbiosi, a terreni argillosi e molto calcarei, sino agli unici e peculiari terreni sassosi di calcare, che traggono origine dal massiccio montuoso delle Dolomiti, patrimonio universale UNESCO. Antichi ma per niente noiosi, quando si parla dei vitigni dell’Alto Adige gli intenditori di tutto il mondo iniziano ormai da un trentennio davvero a sognare: non parliamo tanto del Gewürztraminer, che nel frattempo è stato declassato da vitigno autoctono a solo “locale”, ma soprattutto del Blauburgunder (Pinot Nero) e del Lagrein, veri e unici autoctoni al cento per cento.
Soffermandoci sul Lagrein, è un vino che affascina e sorprende per la sua fresca dolcezza e tenue acidità; figlio di un percorso che ha riportato l’enologia italiana dai blend alla vinificazione in purezza, il Lagrein viene commercializzato come rosso in purezza solo dai primi anni Novanta dopo che i vignaioli altoatesini ne capirono le potenzialità di struttura, finezza e longevità, abbracciando l’idea e la pratica di una produzione più sobria, mirata e tecnicamente meno invasiva.
Di colore Rosso rubino, il Lagrein è un vino corposo, fruttato, caldo, armonico e con dei tannini poderosi che però vengono domati da un lungo affinamento in botte che gli conferisce il caratteristico aroma dai sentori di frutti di bosco, ciliegia e violette. Un vino che appena arriva sul palato ti conduce altrove, sulla scia di sentori avvolgenti e profumi talmente intensi da avere effetti quasi lisergici e degni di ciò che, anche per noi esseri umani, può configurarsi come un miracolo. Perché, come ebbe a dire Eduardo Hughes Galeano “Siamo tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino”.
Nel caso del Lagrein, verrebbe da dire, addirittura solo dopo il primo.
Foto di Manuel Venturini