C’è un libro di Eugenio Montale, pubblicato nel 1969 e poco conosciuto, che si intitola “Fuori di casa” e raccoglie gli itinerari di viaggio del grande poeta facendoci comprendere quanto egli amasse le Cinque Terre; infatti, per Eugenio Montale quei “dorsi di colli e di cielo” della Liguria, erano “le sue Cinque Terre”.
Con i suoi quasi 3900 ettari, il Parco Nazionale delle Cinque Terre è il più piccolo del Paese ma, allo stesso tempo, il più densamente popolato, con circa 4mila abitanti suddivisi in cinque borghi legati tra loro dalla storia, e da una natura, affascinante e tenace.
Il Parco Nazionale delle Cinque Terre
Se Riomaggiore, stretto tra due ripide colline terrazzate che scendono al mare in balze, colpisce per le case costruite in verticale e deliziosamente colorate, Manarola conquista perché è un eden di vitigni e ulivi. C’è poi Corniglia, la perla incastonata sulla scogliera, un antico borgo romano, quasi inaccessibile dal mare, dalla lunga e ricca tradizione agricola; e ancora Vernazza “la maestosa”, un gioiello medievale fatto di vicoli magici e misteriosi tra le case dipinte di rosa, di rosso e di giallo: una macchia multicolore di un paese marinaro, classificato tra i primi cento borghi più belli d’Italia. In ultimo, ma non per importanza, c’è Monterosso, tanto amato da Eugenio Montale, un paese variopinto, dal forte tratto medievale: “roccioso e austero”, lo definiva il grande poeta genovese.
Riomaggiore dalle due entrate
Riomaggiore, sede istituzionale del Parco delle Cinque Terre, è il primo dei cinque borghi provenendo da La Spezia e forse rappresenta il più tortuoso e angusto dei cinque, poiché segue il ripido canalone coperto del torrente Rio Maggiore, l’antico Rivus Major, da cui prende il nome e che ha determinato lo sviluppo dell’insediamento. Nella sua morfologia Riomaggiore estremizza il carattere delle Cinque Terre e, quindi, in qualche modo prepara la strada al cammino verso le altre: è infatti composto da fasce parallele di coloratissime case-torri genovesi che si dispongono a più livelli, la cui caratteristica inconfondibile è la presenza di due entrate, una davanti a livello del caruggio, l’altra sul retro all’altezza della strada superiore che porta verso i terrazzamenti coltivati.
Le Cinque Terre nella poesia di Montale
Riomaggiore, venendo da Ovest, è dunque la porta a quel mondo ancor oggi incantato e unico al mondo rappresentato dalle Cinque Terre ma si sa, o può anche solo immaginare, che seguendo il filo della poesia di Montale le normali categorie della geografia, della esperienza, del sentire possono cambiare e aggiornarsi in nome della poesia.
Nelle Cinque Terre, dal 1997 sito UNESCO, il premio Nobel amava passare giorni e giorni osservando il mare, le tempeste e il mutare delle stagioni, per fissarli in versi indimenticabili. Qui la sua presenza è ancora tangibile o, meglio, è ancora possibile vedere questi luoghi con i suoi occhi, grazie alle sue parole. Se la vertigine maggiore di questo incontro è certamente in “Ossi di Seppia”, in verità attraverso ogni verso di Montale è possibile conoscere, e riconoscere, le Cinque Terre tanto che, per rendergli omaggio, è stato inaugurato, in occasione dei quarant’anni dal Nobel, il Parco Letterario Eugenio Montale, a Monterosso. Il fulcro del Parco Letterario è la casa del poeta, la residenza estiva, conosciuta come Villa Montale, che lui stesso chiamava “la pagoda giallognola” o “la casa delle due palme”: si tratta di un luogo simbolo di un turismo attento, meticoloso ed emozionato, che ben si discosta dal rumoroso vagare inconsapevole perché invita a concentrarsi sul silenzio e sulla bellezza, che è ovunque.
Da qui, grazie a questo piccolo grande miracolo di evocazione, il paesaggio naturale delle Cinque Terre, così unico e particolare, dove i poderosi terrazzamenti sembrano buttarsi a picco sul mare, diventa “culturale” e “letterario”. Seguendo le tracce lasciate dal poeta nel percorso, è possibile intuire gli angoli o gli scorci che lo hanno reso immortale ed immergersi nello splendore dei paesaggi da lui cantati; da “Meriggiare pallido e assorto” a “La casa dei doganieri”, da “La Punta del Mesco” a “I limoni”, i versi di Montale sono intrisi del clima delle Cinque Terre, e sono una vera guida a respirarli a fondo come in un incontro fra paesaggio visivo e sonoro.
Sì perché Montale, da buon ligure si potrebbe dire, è sicuramente uno dei poeti che ha saputo meglio tradurre il silenzio in parola. Ci sono alcuni suoi versi che urlano sebbene muti e sembrano compendiare nel loro breve respiro la vita cui appartengono: frammenti che raccolgono e custodiscono nel loro scrigno, integro, il suono e il senso della poesia e delle terre dalla quale provengono.
Le parole, ma ancor prima i profumi, le immagini, le suggestioni, hanno regalato allo sguardo montaliano sul visibile una grande energia evocativa e interrogativa. Perché dire di un incontro è partecipare in profondità alla vita, o alla natura, e accettarne le molte domande e le poche risposte. E rimanere in magnifica attesa di emozionarsi.
Ecco, percorrendo le Cinque Terre tutto questo, per nostra immensa fortuna, diventa a ogni passo possibile.
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