I luoghi del romanzo, i luoghi del film e quelli della vita del celebre autore siciliano: l’itinerario completo
I siciliani raccontano un silenzioso, costante pellegrinaggio di visitatori italiani e stranieri che approdano sulle tracce dell’autore del Gattopardo e si perdono.
Si perdono nella bellezza caotica di Palermo, nei ruderi di palazzi un tempo magnifici e nella scoperta di altri che sono stati restaurati nella loro antica bellezza; quindi si avventurano nelle trazzere dell’entroterra avvinti dal gioco dell’identificazione tra i luoghi che Tomasi di Lampedusa racconta nelle sue opere e quelli della realtà, ossia quelli della sua vita.
La Donnafugata del Gattopardo non è quella che immaginiamo
Di fronte al castello di Donnafugata poi scoprono l’amara verità: non è quello il palazzo in cui Lampedusa riprende Angelica e Tancredi negli appartamenti abbandonati della dimora dei Salina, in un’aura sensuale che pervade lo spazio; nel paese descritto nel romanzo rivive sia lo splendido palazzo di Santa Margherita del Belice, luogo felice dell’infanzia dell’autore, sia il ricordo di Palma di Montechiaro, dove Lampedusa torna prima di morire, per ritrovare il prestigio del casato di cui aveva vissuto la decadenza, come spiega in una lettera all’amico barone Merlo:
Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita.
Se è vero che i luoghi della nostra vita diventano parte di ognuno di noi, per Tomasi di Lampedusa questo assunto vale molto di più: la casa natale e i palazzi che appartennero alla sua famiglia sono un pilastro della sua identità, nonché luoghi felici perduti per espropri o bombardamenti.
La madre dell’autore, Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, passando accanto alle mura di Palazzo Lampedusa, allungava la mano per toccarle e si portava le dita alle labbra, per poi poggiarle di nuovo all’intonaco; anche quando fu semidistrutto dai bombardamenti del ’43 non volle abbandonarlo e si trasferì nelle stanze rimaste intatte, dove morì sola.
I luoghi di Tomasi di Lampedusa a Palermo
Palazzo Lampedusa, dove l’autore nacque il 23 dicembre 1896, è una riconquista recente: per decenni è giaciuto in stato di completo abbandono, come racconta David Gilmour, che si intrufolò tra le macerie recuperando lettere e altri oggetti.
Oggi è visitabile il magnifico cortile: dal 2011 al 2015 è stato ricostruito tenendo presente anche i Ricordi d’infanzia dello scrittore, che lo descrivono diffusamente, quindi portateli con voi quando lo visiterete; gli appartamenti sono privati e si organizzano visite di tanto in tanto.
Si trova in via Lampedusa 23. Nei Ricordi d’infanzia leggiamo:
La casa (e casa voglio chiamarla e non palazzo, nome che gli è stato appioppato com’è adesso ai falansteri di quindici piani) era rintanata in una delle più recondite strade della vecchia Palermo, in via Lampedusa, al n. 17, numero onusto di cattivi presagi ma che allora serviva soltanto ad aggiungere un saporino sinistro alla gioia che sapeva dispensare. (Quando poi, trasformate le scuderie in magazzini, chiedemmo che il numero fosse mutato ed esso diventò 23, si andava verso la fine: il numero 17 le portava fortuna).
Palazzo Lanza Tomasi, in via Butera, è la dimora in cui l’autore trascorse gli ultimi anni della sua vita insieme alla moglie e dove oggi risiede il figlio adottivo nonché curatore delle sue opere: Gioacchino Lanza Tomasi. In quelle stanze, tra le altre cose, si sono svolte le lezioni di letteratura inglese e francese che Lampedusa accettò di tenere per pochissimi amici: dagli appunti che prese in quell’occasione sono nate delle raccolte pubblicate oggi nei Meridiani Mondadori.
Si trova nell’antico quartiere arabo Kalsa e oggi accoglie un museo dedicato all’autore: è possibile infatti visitare la biblioteca e la sala da ballo in cui sono esposti i suoi manoscritti, tra cui quello del Gattopardo e, appunto, delle Lezioni citate, insieme a molti altri; molta parte del mobilio proviene dalla casa natale dell’autore.
Ex Albergo Trinacria, sempre in via Butera: qui Tomasi di Lampedusa ambienta la morte del suo protagonista, don Fabrizio Salina; l’ultimo affronto per un nobile decaduto, infatti, morire nel luogo più impersonale possibile: una stanza d’albergo. Oggi ospita delle mostre.
Villa Tomasi a San Lorenzo Colli faceva parte delle proprietà di famiglia: proprio lì il bisnonno di Lampedusa usava i suoi cannocchiali, ma non lo includerei nell’intinerario, dato che è in rovina.
Dov’è stato girato Il Gattopardo di Visconti
Sempre a Palermo, aggiungete al vostro itinerario lampedusiano Palazzo Valguarnera Gangi, quello in cui Visconti girò le scene del ballo. Tra i consulenti del regista ci fu anche il figlio adottivo di Lampedusa: realizzare un film nel modo più fedele alla realtà era quasi un’ossessione per Visconti, ecco perché scelse costumi d’epoca, e i cannocchiali di don Fabrizio erano quelli appartenuti al bisnonno dell’autore, il Fabrizio cui si ispirò per creare il personaggio.
«Si è girato dal vero costruendo il vero», osserva in seguito la sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico.
Tra le scene più lunghe del film, oltre a quella del ballo, c’è quella dell’ingresso dei Mille a Palermo, in cui era essenziale riprodurre spazi poveri e decadenti e purtroppo Visconti non ebbe difficoltà a trovarli a Palermo, dove tra l’altro le macerie della Seconda guerra mondiale sopravvissero a lungo. Ora quegli spazi urbani sono stati restaurati, se volete passeggiarci li trovate in:
- piazza di San Giovanni Decollato, con la chiesa omonima
- piazzetta delle vittime
- via del fondaco
- piazza Magione
- piazza della Vittoria allo Spasimo
- piazza Sant’Euno
- piazza della Marina.
Infine, la chiesa alla quale don Fabrizio accompagna padre Pirrone prima della sua incursione amorosa da Mariannina, è la Biblioteca Comunale, in via Casa Professa.
Villa Boscogrande a Cardillo, nei pressi di Palermo, è stato il set cinematografico per i titoli d’apertura del film: le riprese sopra la distesa d’alberi d’agrumi davanti alla facciata del palazzo e le soste sul terrazzo di maiolica, le tende scosse dal vento mentre si conclude il Rosario e i personaggi che prendono a interagire con lo spazio ognuno a modo proprio, a seconda della classe sociale.
È una delle chiavi di lettura più affascinanti del romanzo: le interazioni dei personaggi con lo spazio mutano man mano che il ceto aristocratico si disfa e si fa strada la borghese Angelica. È al suo ingresso in scena che l’equilibrio comincia a sgretolarsi, e con esso anche lo splendore degli ambienti.
La Donnafugata del Gattopardo
Per girare le scene che nel romanzo sono ambientate a Donnafugata, su consiglio di Gioacchino Lanza Tomasi, Visconti sceglie Ciminna, un piccolo paese vicino Palermo; nella chiesa di Santa Maria Maddalena, in piazza Matrice, si trovano degli scranni lignei che si rivelarono perfetti per la carrellata di primi piani della famiglia Salina, incartapecoriti come il loro ceto; ma la località richiede non pochi ritocchi agli esterni per la fedeltà al libro e al gusto di un regista di nobile discendenza che con ogni probabilità deve sentire molto affine alla sua la storia del Gattopardo.
Visitare i luoghi del romanzo: Il Gattopardo e Palma di Montechiaro
Torniamo ai luoghi della realtà. Tomasi di Lampedusa fino alla morte è patron di Palma di Montechiaro, per il fatto che i suoi antenati la fondano nel ‘600; tra questi anche Isabella Tomasi, la Beata Corbera del romanzo.
È qui che fiction letteraria e realtà s’intrecciano: a Donnafugata don Fabrizio fa una visita al Monastero delle Benedettine in clausura, ed è l’unico uomo che possa accedervi, proprio per la sua carica di patron del luogo. Questo episodio del romanzo nasce dalla visita che Lampedusa fa a Palma di Montechiaro a pochi anni dalla morte, insieme al figlio adottivo e alla fidanzata; accede al monastero, solo lui, e visita inoltre il Castello.
Altro luogo da visitare, è Palazzo Ducale, che in passato è stato sede di uffici pubblici e che oggi è aperto al pubblico. È celebre la scena tratta da un documentario famoso sui luoghi lampedusiani, in cui un dipendente di quegli uffici diceva candidamente di non sapere perché arrivassero visitatori a osservare il soffitto ligneo dove campeggiava lo stemma ducale dei Tomasi, quello del leone rampante.
Santa Margherita del Belice, giardino del Gattopardo
Uno dei luoghi più amati da Tomasi di Lampedusa e da sua madre fu Palazzo Filangeri di Cutò a Santa Margherita del Belice, nome che evocherà nei vostri pensieri il terremoto che in parte la distrusse nel 1968.
Prima, però, la famiglia di Lampedusa la perse per i debiti di un membro della famiglia.
Si tratta di un altro dei paradisi perduti dell’infanzia del principe: un’immensa villa con un giardino rigoglioso, lo stesso in cui il protagonista del romanzo si diverte a guardare il cane che devasta aiuole dove il caldo fa degenerare anche l’odore dei fiori; una villa con un teatro annesso e la chiesa adiacente.
Oggi ospita il Municipio e il Parco Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dove poter ammirare le riproduzioni del manoscritto originale del Gattopardo, lettere e foto d’epoca; ospita inoltre un Museo che celebra il film di Visconti.
Chiudiamo questa lunga enumerazione con un altro luogo amatissimo da includere nell’itinerario: Villa Piccolo a Capo d’Orlando, residenza dei cugini dell’autore. La villa si affaccia da una collina dalla quale si vede il mare, da un lato, e dall’altro guarda a un giardino immenso dove si trovano il cimitero dei cani di famiglia, il pergolato col glicine, una lunga panchina chiamata “il pensatoio”, alberi da frutta, specchi d’acqua e fiori. Scrisse qui una parte del romanzo e certamente il giardino dovette ispirarlo.
Si può ancora visitare la stanza in cui dormiva quando veniva a trovare la zia e i cugini Giovanna, Lucio e Casimiro, del quale rimangono magnifici acquerelli che ritraggono creature fantasiose. Di Lucio Piccolo possiamo ancora leggere le poesie che piacquero molto a Montale, al quale si deve la pubblicazione. Anche questo successo letterario del cugino dovette ispirare Lampedusa a scrivere il proprio romanzo, anche se la vicenda editoriale del Gattopardo fu molto travagliata: rifiutato da Vittorini per la collana “I Gettoni” di Einaudi, passò per il cassetto di Elena Croce e per le mani di Giorgio Bassani, cui si deve la pubblicazione con Feltrinelli solo nel 1958, dopo la morte dell’autore.
Lampedusa morì nel ’57, pensando che non sarebbe stato pubblicato.