Conversazione con Giovanni Carlo Federico Villa, direttore del Museo di Palazzo Madama
Nel cuore di Torino, Palazzo Madama ospita una mostra sorprendente e coinvolgente: Visitate l’Italia. Un’esposizione che non si limita a raccogliere manifesti d’epoca, ma invita a compiere un viaggio visivo attraverso l’Italia del turismo, così come è stata immaginata – e desiderata – tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Più di duecento manifesti originali, accompagnati da guide, dépliant e materiali promozionali, raccontano non solo la bellezza del paesaggio italiano, ma anche un progetto culturale preciso: costruire, attraverso l’immagine, un’identità nazionale. Una mostra così non potevamo certo lasciarcela scappare. Abbiamo incontrato Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama e curatore della mostra, per approfondire il senso di questa operazione e capire come l’Italia si sia raccontata – e venduta – al mondo, con creatività e intensità, ben prima dell’era dei social.
Com’è nata l’idea di questa mostra?
L’idea è nata dalla volontà di raccontare un’Italia che si stava facendo Paese, anche attraverso le immagini. Nei decenni tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, il manifesto turistico non è solo uno strumento di promozione: è una forma di narrazione visiva potente, accessibile, capace di creare desiderio. Non volevamo fare una mostra “storica” o “artistica”, ma un viaggio. Un viaggio che raccontasse come l’Italia ha imparato a rappresentarsi – e quindi a immaginarsi – come destinazione.
La mostra non è organizzata cronologicamente, ma geograficamente. Come mai questa scelta?
Perché volevamo che il visitatore si muovesse idealmente da Nord a Sud, come in un Grand Tour moderno. Ogni parete è un pezzo d’Italia: si parte dalle Dolomiti, si scende verso il Sud, si attraversano le isole e si risale lungo le coste. Anche i colori delle pareti cambiano in base al paesaggio rappresentato: rosa per le Alpi, blu per il mare, ocra per le terre del Sud. Non è solo un’esposizione: è un’esperienza immersiva e narrativa.
Che ruolo hanno avuto le istituzioni in questo processo di costruzione dell’immaginario?
Un ruolo fondamentale. C’erano grandi soggetti pubblici, come le Ferrovie dello Stato, il Touring Club Italiano, l’ENIT. Ma anche i comuni stessi commissionavano manifesti ogni anno, per raccontarsi. Rimini, ad esempio, lo fa ancora oggi. Era una committenza consapevole, che capiva il valore simbolico e identitario delle immagini. E lo faceva in modo democratico: i manifesti erano affissi in città, visibili a tutti, popolari ma raffinatissimi.
C’è un manifesto che per lei rappresenta più di tutti questa sintesi tra arte e comunicazione?
Ce ne sono molti, ma uno che mi emoziona ogni volta è quello dedicato a Bergamo Alta, realizzato da Marcello Nizzoli. In un’immagine sola riesce a cogliere l’orgoglio, l’imponenza, il fascino di una città “sospesa”. È poesia grafica. Ma potrei dirle anche quello del Lago Maggiore, o la signorina sorridente sulle nevi delle Dolomiti disegnata dal pugliese Gino Boccasile: ognuno ha un’estetica precisa, un messaggio chiaro, una capacità straordinaria di sedurre con pochi, ma potenti, tratti ben selezionati.
Molti di questi manifesti parlano a un pubblico straniero. È corretto dire che il turismo era anche un modo per raccontare l’Italia all’Europa?
Certo. I manifesti erano spesso tradotti, o addirittura pensati per un pubblico europeo. L’Italia si proponeva come destinazione internazionale, ma non solo per le sue bellezze naturali o artistiche. Offriva uno stile di vita, un clima, una cultura del tempo libero che affascinava. E lo faceva con immagini che parlavano a tutti, senza bisogno di traduzioni: bastava un paesaggio, un colore, un sorriso che, ben posizionati all’interno del manifesto, suggerivano un immaginario.
In mostra ci sono anche tante figure femminili. Qual era il loro ruolo in questa narrazione?
Le donne sono spesso protagoniste: giovani, sorridenti, eleganti, in riva al mare o sulle piste da sci. Ma non sono solo figure decorative: rappresentano la salute, la modernità, la libertà. In certi manifesti diventano quasi delle muse dell’Italia turistica, simboli di un benessere accessibile e desiderabile. È interessante notare come il corpo femminile venga utilizzato per incarnare l’idea stessa di vacanza in maniera mai puramente fotografica, bensì come ideale di bellezza profonda, densa, memorabile.
Palazzo Madama non è nuovo a mostre che riflettono sull’identità italiana e sui suoi paesaggi. In che modo questa mostra si inserisce nel percorso del museo?
Questa mostra prosegue un lavoro che portiamo avanti da tempo. Lo scorso anno abbiamo dedicato un’intera esposizione al Po e al cambiamento climatico. Prima ancora, abbiamo ospitato il Consiglio d’Europa e prodotto mostre itineranti su valori civili e ambientali. Visitate l’Italia si collega a tutto questo perché ci interroga su cosa significa “fare gli italiani”, e come si costruisce – anche visivamente – l’idea di nazione.
Oggi viviamo un’epoca di sovraffollamento turistico e di immagini istantanee. Che lezione ci danno questi vecchi manifesti?
Ci insegnano la lentezza, la cura e l’intensità. Erano immagini progettate per durare, per rimanere impresse, per parlare al cuore. E ci ricordano che un’immagine ben pensata può creare desiderio, emozione, identità. Non c’era bisogno di parole: bastavano un colore, un volto, un paesaggio ben congeniati all’interno di un perimetro e di uno spazio come elementi di significazione forte. È una lezione che oggi dovremmo recuperare, in un mondo visivo saturo ma spesso superficiale.
La mostra ha avuto un riscontro positivo?
Altissimo. Stiamo registrando numeri di visita molto superiori alla media: quasi 500 persone al giorno. È una mostra che piace perché emoziona, ma anche perché sorprende. Chi entra scopre qualcosa che non sapeva: che l’Italia si è raccontata per immagini, con coerenza e visione, per almeno cinquant’anni. E che lo ha fatto benissimo.
Per concludere, possiamo dire che, davvero, una buona immagine vale più di mille parole?
Forse sì. O almeno, vale quanto una grande storia. Visitate l’Italia ci mostra come un paese può costruire un’idea di sé attraverso il segno grafico, la bellezza, la semplicità potente. In un’epoca in cui siamo sommersi da immagini, questa mostra ci ricorda che alcune visioni restano. E che l’Italia, da sempre, è anche una questione di sguardo.