Chi di voi ha avuto occasione di visitare Brescia, magari durante il periodo in cui è stata capitale della cultura insieme a Bergamo, saprà che è una città inaspettatamente affascinante, con un anfiteatro e un foro dell’epoca di Diocleziano che sono patrimonio Unesco.
Saprà che l’antica Brixia, in piazza Paolo VI – che era nato a Concesio, nel bresciano – sfoggia ben due duomi, come per le collezioni della moda, uno estivo ed uno invernale. Quello invernale, romanico del XII secolo, è il più grande al mondo a pianta rotonda, incredibilmente bello, tanto da far apparire quasi banale il duomo nuovo – che pure è una splendida chiesa barocca con una delle cupole più grandi d’Italia.
Saprà che il complesso monumentale di Santa Giulia è molto di più che un museo, è un percorso lungo oltre 30 secoli nella storia della città e del suo territorio: dal paleolitico all’età del bronzo sulle tracce di Liguri e Camuni, dalle domus romane alla basilica di San Salvatore – fatta costruire dal re longobardo Desiderio per costruire i resti della martire Giulia, dagli affreschi del ‘300 del coro delle Monache con la splendida croce di Desiderio e le sue 212 gemme, fino all’arte contemporanea di Michelangelo Pistoletto e Emilio Isgrò.
Brescia, famosa anche come città simbolo delle stragi di stato degli anni 70’, con la ferita ancora aperta di Piazza della Loggia dopo 50 anni: in un angolo della piazza è visibile un pilastro danneggiato nel punto in cui esplose la bomba e, poco lontano, un cartello riporta le parole pronunciate dal palco al momento dell’esplosione che avvenne durante una manifestazione contro il terrorismo di matrice neofascista “Una bomba: aiuto ..fermi, state fermi”. Il cinquecentesco Palazzo della Loggia progettato dal Palladio e dal Sansovino, con il suo salone vanvitelliano, finisce in secondo piano, perché Brescia è una città che non dimentica. Tanto da trasportare fino in piazza della Vittoria un masso dell’Adamello a ricordo dei caduti della Grande Guerra e da coltivare amorosamente nel cortile di Santa Giulia un albero di Kaki nato dal seme di un albero miracolosamente sopravvissuto all’atomica di Nagasaki nel 1945.
Passandoci anche solo qualche ora, si percepisce chiaramente lo spirito fiero della città, medaglia d’oro per la resistenza durante le dieci giornate del 1849, che le fece meritare l’appellativo di “Leonessa d’Italia”: da Aleardo Aleardi prima, “Brescia grande e infelice”, e vent’anni dopo dal Carducci “Lieta del fato Brescia raccolsemi, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d’Italia beverata nel sangue nemico”.
E dunque, attraverso tanta storia, che cosa tiene insieme Brescia e Chicago? Per scoprirlo bisogna andare in Piazza Vittoria, dove si trova il primo grattacielo costruito in Italia che, all’epoca, con i suoi 57m di altezza, era il più alto edificio in cemento armato d’Europa: il torrione INA, costruito nel 1932 su progetto dell’archistar Marcello Piacentini, che riorganizzò dal punto di vista urbanistico la piazza e l’intero centro storico.
Nel 1922 Piacentini aveva partecipato al concorso per realizzare la Chicago Tribune Tower, insieme a grandi nomi dell’epoca, tra cui Loos, Gropius e Meyer. Piacentini non vinse il concorso, ma da quel momento sviluppò un grande interesse per i grattacieli a torre in cemento armato e decise, per primo in Europa, di applicare quella stessa tecnica a Brescia. Curiosamente però, per volere del regime, si fece di tutto per evitare qualunque riferimento ai grattacieli americani, definendolo Torrione, Edificio Multipiano e Casa Alta.
Inizialmente il progetto prevedeva 12 piani, ma Piacentini decise di aggiungere il tredicesimo piano in corso d’opera, forse per superare il primo grattacielo di Chicago, l’Home Insurance Building, che ne aveva soltanto 12. Il torrione fu inaugurato in pompa magna nel 1932, con la retorica tipica di quegli anni: un Cinegiornale dell’Istituto Luce ci racconta che Benito Mussolini sfidò i modernissimi ascensori del grattacielo salendo a piedi i tredici piani del Torrione fino alla terrazza panoramica, lasciandosi dietro numerosi inseguitori, nessuno dei quali si azzardò a sorpassarlo, chissà come mai…