In primavera la prima cosa che ti colpisce è la luce, che sembra andare da sotto in su, dal riflesso del cielo sulle risaie allagate. Lo chiamano “mare a quadretti”, ma più che un mare sembra un mondo al contrario, dove volano trampolieri di ogni genere, a ricordarci i tempi in cui qui c’erano solo paludi e boschi.
Nelle campagne intorno a Vercelli la coltivazione del riso è arrivata solo intorno al 1400, per una brillante idea di monaci Cistercensi originari della Borgogna, che nel 1123 avevano ricevuto dal marchese Ranieri I di Monferrato dei terreni da bonificare nei pressi della via Francigena e vi avevano costruito un’abbazia fortificata: l’abbazia di Santa Maria di Lucedio. L’abbazia divenne ben presto una vera potenza economica, con possedimenti che si estendevano dal Canavese e al Monferrato e un sistema di “grange” (letteralmente: granai), aziende agricole gestite dai conversi che le facevano fruttare per i monaci dell’abbazia.
Cavour e la più potente Centrale Nucleare del Mondo
Il campanile ottagonale di Santa Maria di Lucedio si staglia su un orizzonte di risaie, quasi in simmetria con i due enormi camini della centrale termoelettrica Galileo Ferraris di Leri, ormai in disuso. È stato il primo impianto a ciclo combinato in Italia, ma le sue imponenti torri di raffreddamento sono l’eredità di ben altri progetti: la centrale nasce infatti come secondo impianto nucleare di Trino Vercellese, da affiancare alla Centrale Enrico Fermi, che da lontano non si vede, ma si trova poco distante. La centrale nucleare di Trino Vercellese al momento del suo debutto, il primo di gennaio del 1965, era la più grande centrale del mondo a uranio arricchito, e in seguito ha conseguito il primato mondiale di funzionamento ininterrotto a piena potenza: 322 giorni, dal 28 settembre 1974 al 16 agosto 1975. Insomma, ai suoi tempi un vero e proprio gioiello tecnologico, messo a nanna in seguito al referendum del 1987. Pensando alla luce che sale dal basso, immaginiamo con un brivido che cosa sarebbe diventato questo territorio se avesse davvero generato nelle sue viscere l’energia di due centrali di quella potenza.
Tale grandeur aveva radici lontane, dato che nella grangia di Leri, ceduta dalla famiglia Borghese nel 1822 a Michele Benso che la assegnò al figlio Camillo, il giovane statista mise in pratica le future politiche agricole del Regno. E proprio a Leri Cavour, oggi vandalizzata e inaccessibile, Camillo Benso Conte di Cavour, appassionato ed esperto di idraulica, ideò, insieme all’ingegner Carlo Noè che seguì operativamente il progetto, il Canale Cavour, ovvero la più grande opera di ingegneria idraulica mai compiuta in Italia. Il canale artificiale preleva le acque del Po vicino a Chivasso e si scarica nel Ticino a Galliate, dopo un percorso di 83km a supporto dell’agricoltura locale. È stato costruito in soli 4 anni e fa ancora onorevolmente il suo lavoro, manifesto di un’Italia neonata che voleva dimostrare di saper realizzare opere pubbliche bene e in fretta.
Dalla IV Crociata ai Led Zeppelin
Gli Spaventapasseri di Matilde Cassani che fanno la guardia alla porta d’ingresso posteriore del Principato strizzano l’occhio alle leggende e ai rituali di un territorio magico e insieme misterioso.
Bisogna tornare indietro all’inizio del 1200, quando il destino di Lucedio si intrecciò con quello di Bonifacio I da Monferrato: Bonifacio condusse la sfortunata IV Crociata conclusasi col sacco di Costantinopoli, con la scomunica di tutti i Crociati e la deposizione dell’imperatore Alessio III che fu mandato in esilio ed imprigionato proprio a Lucedio insieme alla moglie Eufrosine. All’interno del campanile, costruito nel ‘700 da un allievo dell’architetto Juvara su una struttura precedente, si trova un sarcofago che qualcuno associa alla Regina di Patmos, in fuga dal padre incestuoso, e altri alla stessa Eufrosine. Secondo una diversa versione, Eufrosine sarebbe invece stata sepolta sotto la chiesetta semi diroccata di Santa Maria delle Vigne a poche centinaia di metri dal Principato. All’interno della piccola chiesa è visibile un affresco che rappresenta un organo a canne e uno spartito: si dice che suonando lo spartito al contrario, come nel caso della famosa Stairway to Heaven dei Led Zeppelin, si renderebbe la libertà addirittura al diavolo, imprigionato dal XVII secolo nella cripta di Santa Maria di Lucedio e guardato a vista da un semicerchio di abati mummificati.
Si tratta di leggende tipiche di un’epoca ben descritta da Sebastiano Vassalli nel romanzo La Chimera, ma resta il fatto che il 10 settembre 1784 papa Pio VI scomunicò ufficialmente Lucedio e disperse i monaci, per porre fine ad un lungo periodo di blasfemia, eresie, perversioni sessuali e terrore psicologico nei confronti della popolazione. La narrazione è del tutto coerente col mistero della colonna che piange all’interno della Sala Capitolare dell’abbazia, il luogo dove si tenevano i processi e si emanavano le sentenze che spesso prevedevano punizioni per la povera gente dei dintorni. Una spiegazione plausibile è che il materiale poroso con cui è costruita la colonna assorbe e rilascia l’umidità del terreno.
Napoleone e la nascita del Principato
Nel 1792 le proprietà di Lucedio passarono ai Savoia, ma nel giro di pochi anni ci si mise pure Napoleone (poteva mancare?), il quale le cedette a Camillo Borghese a parziale risarcimento delle meravigliose collezioni d’arte che gli aveva requisito a Roma. Caduto Napoleone, si aprì una contesa tra i Borghese ed i Savoia sul possesso di Lucedio. Le proprietà vennero divise in lotti e il complesso abbaziale di Lucedio passò al Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio che, a sua volta, cedette la tenuta al genovese Duca Raffaele de Ferrari di Galliera, al quale gli stessi Savoia conferirono il diritto di fregiarsi del titolo di Principe: così Lucedio divenne finalmente l’attuale Principato. Ora la tenuta è proprietà della famiglia Cavalli d’Olivola, che ancora oggi produce riso e altri prodotti agricoli e la affitta per eventi privati e matrimoni.
Lucedio: Lucifero o Bosco Sacro?
Lucedio, il cui nome per tanti evoca la “Luce di Dio” o “Dio di Luce”, ovvero il Lucifero delle leggende locali, ci piace pensare che derivi invece dalla parola latina “lucus” – il bosco sacro. Sacro come il vicino Bosco della Partecipanza che ancor oggi si regge sulle regole eterne di convivenza civile della comunità locale.