Cento è una piccola capitale dell’arte, della cucina, della convivialità preziosa e brillante.
A trenta minuti d’auto da Bologna, quaranta da Ferrara, cinquanta da Modena, sessanta da Reggio Emilia, Cento mescola nel suo cuore una struttura architettonica che fa trasparire una secolare appartenenza alla Diocesi bolognese, mentre il legame politico-amministrativo e l’annosa lotta a domare le acque la rendono invece accomunabile all’area ferrarese, a cui oggi formalmente appartiene. Cento è sinonimo di connessione, collaborazione, invenzione e sorpresa: una città vicina a tutta l’Emilia che, come una corda mobile tesa ad unire territori e comunità, ha abituato la sua gente a inventare una nuova idea di funambolismo d’autore, rappresentata nel famoso Carnevale ma non solo.
Cento come centro culturale fin dal Cinquecento
Non è dunque un caso che dal Cinquecento, in pieno Umanesimo, Cento assuma rilievo dal punto di vista culturale grazie ad un vero esercizio di equilibrio attorno ad una lingua che ancora, al tempo, non esisteva: è infatti nel 1543 che Alberto Accarisio, con l’aiuto di un tipografo itinerante, stampa presso la propria abitazione il primo glossario della lingua volgare, che verrà ripreso dagli Accademici della Crusca nel primo vocabolario della lingua italiana quasi ottant’anni dopo, nel 1612.
Il Guercino visto da Goethe
Se lo scopo di Accarisio era armonizzare il buono in fatto di lingua, l’opera di un altro illustre centese del Seicento, Giovanni Francesco Barbieri soprannominato “Il Guercino”, si è mossa invece a conferma di un’altra caratteristica tipica dei centesi: una visione e un’azione progettuale ispirata da caratteri dolcemente rivoluzionari, intimamente probi, privi di rozzezza e protervia. In coerenza con questo spirito, le opere del Guercino si distinguono per grazia tranquilla e libera grandiosità, e per un qualcosa di particolare che consente all’occhio, seppur poco esercitato, di riconoscerle al primo sguardo, come ebbe a dire Johann Wolfgang von Goethe nel suo “Viaggio in Italia”. Ma ad impressionare Goethe nella sua sosta a Cento è anche l’estensione dei campi coltivati, figli di un percorso di partecipanza agraria che ha permesso di trasformare le paludi in territorio collettivo capace di dare grandi frutti (non a caso il gambero di fiume, raro e prelibato, è presente nello stemma della città).
Cento e la cucina
La capacità di far diventare risorsa un limite è parte della cultura centese e si esprime, come un vero e proprio ricettario sentimentale, in gran parte del suo patrimonio gastronomico e agro-alimentare: basti ricordare la radicata tradizione nella produzione di salumi (si pensi alla caratteristica “salama da sugo” o al primato per il cotechino più lungo del mondo), ma anche le prelibate ricette che mettono in risalto la lumaca o la carne d’anatra. Da sottolineare poi la maestria legata alla creazione della pasta all’uovo tenuta in vita ancora oggi dalle mitiche sfogline, capaci anche di sapienti rielaborazioni della classica tradizione certificate all’interno di sagre locali: imperdibili in tal senso il mitico tortellino di lignaggio bolognese (a Reno Centese) e il tortellone di zucca di ascendenza estense (a Bevilacqua).
Le Botteghe Storiche
Terra di mulini e pastifici, Cento ha evoluto nel tempo la sua offerta valorizzando l’insieme delle botteghe storiche in un vero e proprio Centro Commerciale Naturale, uno spazio di ospitalità pensato per accogliere e far orientare facilmente il visitatore, capace di soddisfare oggi desideri e gusti di ogni tipo attraverso una varietà di proposte di assoluto livello.
Per poterlo apprezzare al meglio, la classica passeggiata sotto i portici del centro non può che partire dalla Piazza del Guercino, dominata dal Palazzo del Governatore (all’interno del quale è ospitata la galleria d’arte moderna dedicata a Aroldo Bonzagni con opera di Giacomo Balla e Lucio Fontana) e posta quasi alla stessa distanza dalle due chiese principali, San Biagio e San Pietro, quest’ultima risalente al XIII secolo, sede della Reverenda Fabbrica del mosaico e impreziosita da opere del Guercino; da qui è possibile poi muovere verso la Basilica collegiata di San Biagio Vescovo e Martire, antico oratorio risalente al primo millennio che può annoverare il campanile più amato dai centesi per la soavità del canto delle sue campane e nelle cui navate sono presenti numerose opere d’arte fra le quali spicca la tela “San Carlo Borromeo in orazione”, anche questa del Guercino.
L’altro Caravaggio
Come ebbe a dire Goethe, “A Cento il nome del Guercino è sacro, sulla bocca dei piccoli come dei grandi”. Il Guercino, che a Cento ha vissuto gran parte della sua vita, ci segue e ci abbraccia lungo tutto il nostro percorso, capace di affascinarci con una particolare, e del tutto unica, idea delle forme nello spazio. Ritenuto uno degli artisti più rappresentativi della fase matura del barocco, rispetto alla costruzione dello spazio figurativo il Guercino dice una parola assolutamente personale, come se la luce piovesse dal fondale sopra i corpi, gli oggetti, i paesaggi toccando accenti di straordinaria intensità. Una sinfonia di chiaroscuri potenti ma mai smaccati che, grazie alla progressiva padronanza nel contrasto e all’ardimento nell’uso del colore, lo ha fatto definire “l’Altro Caravaggio”: dove i contrasti di luce, che in Caravaggio sono un mezzo per dare risalto alla plasticità e alla drammaticità della forma, nel Guercino appartengono invece ad una ricerca luministica pura che culmina in una sorta di effetto scenico, una vocazione evidente nel dipinto “S. Giuseppe e S. Francesco” (la famosa “Carraccina” che si trova nella Pinacoteca centese).
Il Guercino, attraverso la sua intenzione rispetto alla luce, ci fornisce un’altra indicazione su come guardare Cento: come luogo che accoglie con sensibilità una pluralità di stimoli, forme e occasioni facendole coabitare in armonia.
Cento e il cinema
Cento, di sicuro adesso è più chiaro, è davvero una piccola capitale dell’arte, della cucina, della convivialità preziosa e brillante; ma da buona città-acrobata ci regala in conclusione anche altre due sorprese legate al cinema: è stata infatti il set del recente documentario su Ferruccio Lamborghini che, nella frazione di Renazzo, è nato e ha iniziato a produrre i suoi trattori prima e le sue famose auto poi, mentre qualche anno fa è stata scelta come set del film “Mio fratello rincorre i dinosauri” diretto da Stefano Cipani e tratto dall’omonimo romanzo di Giacomo Mazzariol. Due storie che raccontano di frontiere varcate con genio, inventiva e determinazione, tra apparizioni miracolose e avventure rocambolesche, e dell’importanza di inseguire i propri sogni che, guarda un po’, proprio come i funamboli, riescono a danzare tra le nuvole oltre ogni confine.
foto: M. Fortini